30 marzo 2015

Una “Grande Madre”. Rivoluzionaria, spregiudicata e anche eccessiva. Svelata la più attesa mostra di Milano, targata Fondazione Trussardi

 

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In una gremita sala stampa di Palazzo Reale, stamattina, si è presentata forse la mostra più attesa del programma “Expo in città”, almeno per i più “contemporaneisti”. Parliamo de “La Grande Madre” prodotta da Fondazione Trussardi (con il supporto di BNL Paribas), che vi abbiamo in parte già svelato con la nostra intervista al curatore Massimiliano Gioni, sul numero 89 di Exibart.onpaper. Ma stamattina, con un anticipo larghissimo (la mostra si apre il 25 agosto) si presentano gli artisti, anche se Gioni tiene a precisare che sarà inevitabile ci saranno aggiunte e magari cambi d’opera sui 127 già presenti, che saranno disposti su 2mila metri quadrati nella prima collaborazione “istituzionalissima” tra Comune e Fondazione. Ovviamente Milano è nel cuore, nelle parole di Beatrice Trussardi, che ricorda anche l’evoluzione di questa magica “holding” del contemporaneo e della genesi di una mostra che «È occasione importante per riflettere sul valore della donna, in un processo di evoluzione non più rimandabile per lo sviluppo sociale del pianeta». Applausi scroscianti mentre il discorso dell’Assessore Del Corno, ancora una volta, si focalizza sull’interazione tra pubblico e privato. Bene, abbiamo capito che Milano, in questo, si può dire sia virtuosa. Almeno in alcune occasioni. 
L’attenzione però è tutta per Gioni che, come un bambino appassionatissimo, racconta di una mostra «Che ha una famiglia allargata ed è decisamente distante dalla dall’immagine rassicurante della madre perché, citando Barbara Kruger, nel corso del ‘900 la maternità diventa un campo di battaglia». Così “La Grande Madre” diventa l’occasione per fare una mostra politica, che indaghi la rinegoziazione del sé, che metta in luce quella che è stata una condizione a dir poco dramma nel secolo breve: una mostra che parla di padri padroni, di stato, di regime, e poi si apre alla forza e al potere della donna durante le rivolte femministe, in un secolo di storia che attraverserà visioni e tensioni: di donne che mettono al mondo loro stesse, di rappresentazioni di infanticidi per sfuggire al dramma di un figlio che avrebbe pregiudicato la carriera.
E poi c’è Freud, con l’ “Anatomia come destino” e il disprezzo per il femminile del Futurismo, l’idea della macchina celibe dada e la donna come elemento magico surralista. 
Eh si, lo sappiamo che volete qualche nome. E allora eccovi accontentati: Alice Guy Blachè, Kubin, Munch, Brancusi, il Boccioni talmente interventista e “duro” che dedicò alla mamma qualcosa come 50 dipinti, la futurista Benedetta, Hannah Höch, Francis Picabia e Duchamp, sia con Fontana che con una miniatura de Il Grande Vetro. E già questo potrebbe garantire code all’ingresso e, non osiamo immaginare, quanti selfie e simili. 
Ma non è finita: ci saranno i corpi nudi di Magritte, i 50 disegni de La donna a 100 teste di Max Ernst, Meret Oppenheim, Frida Khalo, Ana Mendieta, Louise Bourgeois, Valie Export, Carla Accardi, Yoko Ono
Una mostra che è anche un tributo alla celebre “L’altra metà dell’Avanguardia”, che Lea Vergine curò a Palazzo Reale nel 1980 e che ripercorrerà in una intervista in catalogo.
Poco contemporaneo ancora? E allora eccoci: Rosemarie Trockel, Cindy Sherman, Sarah Lucas, Pipilotti Rist con un video ad hoc, Marlene Dumas, Natalie Djurberg, Thomas Schütte, Nari Ward, Kara Walker, Camille Henrot e poi le foto di Life che mostrarono per la prima volta, nel 1968, come si sviluppa un feto nell’utero della madre e anche
Nicholas Nixon, con uno splendido lavoro fotografico: dal 1975, ogni anno, l’artista fotografa 4 sorelle nella stessa posa, e con i cambiamenti del tempo. «Anziché pensare all’arte come un padre edipico, come potere e uomini, probabilmente è sempre meglio pensarla come l’unione tra tante sorelle», chiude Gioni. Tutte madri, tante. Appuntamento a fine agosto e non dimenticatevi della mamma nell’attesa! 

2 Commenti

  1. Quando fanno le presentazioni, sembrano dei politicanti mediocri, dietro queste scrivanie, sembrano dei burattini senza vita. Beh, in questo scenario “Milanese” come una cotoletta fredda, di tutti i soliti nomi, non ne ho sentito uno che suonava come Italiano..a sottolineare il livello di inesistenza della scena contemporanea italiana nel mondo: zero assoluto.
    Poi se si prendono in considerazione i temi originalissimi (la donna…oddio…ma non era nutrire il pianeta? mah!) si ritorna al punto di partenza. Tanti nomi internazionali come se fossero figurine, in fondo lo sono. Il coraggio di chiamare e provare nuovi nomi, beh, in Italia e’ un’utopia. Allora adesso siam tutti felici con questa valanga di soldi che arriveranno a foraggiare le mostre inutili che saranno dimenticate 24 ore dopo, senza lasciare traccia di se. Secondo me il tema principale di tutto questa inutilita’ chiamata expo sarebbe stato il DENARO: si, quello che guadagnano senza far nulla, quello pubblico che rubano ai bisognosi, quello riciclato attraverso le istituzioni e le banche amiche. quello che corrompe e distrugge qualsiasi traccia di cultura vera che cerca di attecchire alle coscienze della gente normale. Si, gente normale come tanti, non i fighetti sofisticati che sorseggiano prosecco alle mostre/bidone e si atteggiano a finocchietti col pinzimonio sotto il naso, snobbetti inutili che non hanno mai lavorato in vita loro. Siete di una noia mortale con ste cavolate, Poi vorrei sapere quanto denaro butteranno al cesso per queste iniziative, eh si perche non si parla mai di poche decine di migliaia di euro ma sempre di milioni, perche si potrebbero fare mostre con pochi soldi ma in Italia se magnano tutto, invece di donare poche migliaia di euro per orni artista professionista in Italia si preferisce pagare gli stranieri e i curatori della supercazzola. Continuate cosi, sempre cosi, chissa’ un giorno saremo una potenza artistica contemporanea ai livelli del Bangladesh. Peace. ps: ci sono delle parolacce?? oddio!!! chiamate il prete!!! prestoooo!!!!!!

  2. Caro Mister Matito,
    se siamo noiosi può sempre proporre un’alternativa.
    Oppure provi a lamentarsi con Fondazione Trussardi, magari l’ascoltano.
    Se non le piace quello di cui parliamo può cambiare giornale.
    E poi potrebbe anche firmarsi, invece di nascondersi dietro pseudonimo.
    Cari saluti

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