31 ottobre 2014

Abu Dhabi Art Fair. Nella fiera dei ricchi si parla anche un po’ italiano. Dove? Nelle didascalie delle opere!

 

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Visitatori davanti alla scultura di David Mach, Silver Streak (2009). Courtesy Galerie Jerome de Noirmont, Parigi. Photo di Kurosh Nasseri

Debutta il 5 novembre, proprio in concomitanza con Artissima. E si sa, i fari dei media italiani, in quella manciata di giorni, non avranno occhi che per Torino. D’altro canto, ad Abu Dhabi Art Fair, di quel che succederà a Torino probabilmente non importerà granché, anche perché in scena ci saranno alcune delle gallerie migliori del mondo, che dagli Emirati non cercheranno di certo di sbarcare il lunario, ma di andare a colpo sicuro sul miglior commercio dell’arte. Dalla penisola i leoni di Continua non potevano mancare, e nemmeno Lisson che, ricordiamolo, ha anche la sua succursale milanese. Poi c’è Paul Stolper, David Zwirner, Simon Lee, The Third Line, Kamel Mennour, Hauser & Wirth, la “locale” Ayyam e Aquavella, solo per fare alcuni nomi. Tutti all’art district di Saadiyat, dove sorgerà il nuovo Louvre. 
Ma c’è anche qualcos’altro che parlerà italiano alla fiera degli Emirati: Art Net Worth
Di che si tratta? Di una società italiana e composta per lo più di giovani (il board conta una serie di figure poco più che trentenni,  che creerà un CMS (Content Management System), ovvero un sistema di gestione dei contenuti dedicato apposta per le gallerie e che permetterà di caricare tutte le informazioni relative alle opere esposte contribuendo automaticamente alla realizzazione del Collectors Preview Book, il catalogo che viene consegnato ai collezionisti prima dell’apertura, e delle didascalie digitali ANW. Cosa significa? Che per la prima volta il visitatore, scansionando con il proprio smartphone il Qr code, accederà a tutti i contenuti dell’opera che sta osservando, caricati da ogni galleria che avrà un proprio accesso privato al CMS.
Niente male: un aiuto ai galleristi poco “chiacchieroni”, ma forse un poco anche un’arma a doppio taglio, che potrebbe iniziare proprio a far sparire la figura viva del dealer, lasciando ancora meno spazio per l’interazione nella compravendita di un’opera. Possibile? 

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