18 luglio 2019

Gli ambienti di Olafur Eliasson alla Tate Modern

 

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La percezione e la sensorialità sono al centro dell’arte di Olafur Eliasson. A sedici anni dallo straordinario successo di The Weather Project, in cui ricreò un sole artificiale all’interno della Turbine Hall, l’artista danese torna alla Tate Modern con una retrospettiva che ne documenta la ricerca, estesa sempre più nella dimensione ambientale e in quella sociale.
Lo studio del movimento, dello spazio e della luce contraddistingue i suoi lavori. Di primo acchito, veniamo invitati in spazi giocosi, quasi fossimo in un luna park di esperienze artistiche con tanto di code d’obbligo per addentrarci in ognuna di queste. Il caratteristico utilizzo di un colore, l’ambra acceso, gli specchi caleidoscopici, i quattro elementi riscoperti con nuovi meccanismi palesemente esposti, tutto questo rende le sue opere riconoscibili già a distanza. Il divertimento di ogni esperienza rivela presto una dimensione più profonda e meno tangibile. In Din Blinde Passager, ci addentriamo in un corridoio, sei alla volta, accecati dalla presenza di un fumo denso, abbagliati da luci colorate che ci portano da un’ambra a un azzurro. C’è qualcosa di etereo e metafisico in questo spazio e non posso fare a meno di notare, fra il pubblico davanti a me, la silhouette di una donna anziana che tiene per mano una bambina e mi porta a riflettere sulla fragilità dell’esistenza stessa.
Ogni lavoro ha del monumentale e dell’effimero: monumentale in termini di dimensione e di importanza; effimero, perché momentaneo e creato per un’esperienza dal vivo. Entriamo in spazi dove il nostro riflesso viene frammentato e distorto. In Moss Wall, siamo invitati a toccare un’enorme parete di muschi scandinavi, in una sorta di contemplazione tattile. In Big Bang Fountain ci troviamo in una sala completamente buia dove uno spruzzo d’acqua viene illuminato da una luce stroboscopica, dandoci l’illusione di un’apparizione intermittente e miracolosa.
Le opere di Eliasson continuano a ricordarci della precarietà dell’ambiente, usando lo scioglimento glaciale come metafora visiva e, letteralmente, come dato di cronaca. Non si può che condividere l’urgenza di questa enfasi. Gesti come Ice Watch, installazione itinerante di blocchi di ghiaccio dalla Groenlandia che si sciolgono lentamente, e iniziative come Green Lights e Little Sun, vedono fondere arte e campagne ambientali e sociali.  Ci si potrebbe chiedere se alcuni dei materiali utilizzati nelle sue opere (particolarmente l’enorme filtro di plastica colorata trasparente in Suney) o il loro stesso trasporto e allestimento, siano coerenti con questo messaggio. Tuttavia, non c’è dubbio che i suoi progetti stiano avendo un impatto visibile. Il suo “expanded studio”, dove la pratica artistica coinvolge un team di esperti da diverse discipline (c’è addirittura un menu a tema ambientale ideato dallo stesso team e servito anche nella Tate per tutta la durata della mostra), sta contribuendo a un cambiamento culturale in cui l’arte è totalmente integrata ad uno sforzo di ricerca transdisciplinare, al fine di preservare la nostra esistenza. (Jacek Ludwig Scarso)

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