08 luglio 2019

Architetti, fate design!

 

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Un manifesto dalla grafica accattivante richiama il pubblico parigino alla Cité de l’architecture & du patrimoine per la mostra “Le mobilier d’architectes de 1960 à 2020”.
Aperta il 29 giugno fino al 30 settembre 2019, la mostra estiva del museo, situato sul cortile del Trocadéro, non poteva sorprendere di più. L’esposizione si è proposta di riunire i lavori di importanti architetti nel campo del design, dominio di solito di competenza più di designers che di progettisti di costruzioni più “grandi”. 
Il mobile, elemento di uso quotidiano con cui ognuno di noi si relaziona, è diventato nel secolo scorso oggetto di studio e di interesse da parte dell’architetto. A partire dal periodo Bauhaus, arte, architettura e artigianato si sono mescolate e confrontate come integrazione olistica del vivere quotidiano.
Lionel Blaisse e Claire Fayolle, curatori della mostra, hanno scelto una serie di oggetti dalle firme eccelse, come quelle di Zaha Hadid, Jean Nouvel, Ettore Sottsass, Gaetano Pesce e Daniel Widrig. Chiamati a pensare a sedie, caffettiere e librerie, gli architetti si dimostrano, fin dagli anni ’20, capaci di sapersi relazionare con le piccole misure, le cui forme devono essere adatte a svolgere le funzioni del vivere, come sedersi e accogliere volumi di dimensioni varie. Le risposte sono diverse e sorprende vedere il Cavatappi di Alessandro Mendini (2003) a forma di omino o la Caffettiera di Hadid dalla forma allungata che assomiglia a una stazione spaziale.
Il percorso espositivo si inserisce tra le collezioni permanenti del museo. Lo scenografo Adrien Gardère ha fatto la scelta di associare, agli oggetti in prestito, punti adesivi color arancione fluo e didascalie dallo stesso sfondo. Scelta allestitiva simpatica, data la novità del colore, che però non permette un’individuazione a distanza degli oggetti di pertinenza della mostra e non del museo. Il percorso sarebbe stato di più facile lettura e gli oggetti immediatamente individuabili se i podi su cui sono disposti fossero stati di colore arancio fluo come i cartelli. Una scelta semplice che avrebbe dato dinamismo agli enormi spazi della Cité de l’architecture. Non bisogna dimenticare infatti che le sale sono cariche di gessi e affreschi di epoca medioevale che si alternano ad architetture di epoca moderna. La galleria dell’architettura moderna che ospita una parte della mostra ha una incredibile vista sulla Torre Eiffel, elemento certamente «perturbante» il visitatore. 
Agli architetti italiani, i curatori hanno dato un ampio spazio, con prestiti provenienti soprattutto dal Museo Alessi, come il Bollitore in acciaio di Michael Graves nel manifesto della mostra. Secondo la linea curatoriale, i progettisti italiani, non occupati da grandi cantieri, si rivolgono, a partire dal secondo dopoguerra, al disegno di mobili. Vengono così poste le basi del Design italiano.  Risaltano i rossi Rangements componibili di Anna Castelli Ferrieri del 1967 e il servizio da caffé Piazza di Aldo Rossi conservato in uno scrigno vetrato a forma di tempio, del 1983.
I curatori, con questa mostra, hanno voluto dimostrare che gli architetti possono e devono occuparsi anche del design di piccoli e grandi oggetti, per impiegare la loro creatività nella fabbricazione dell’insieme del vivere, dal cucchiaio alla città. (Asia Ruffo di Calabria)

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