06 maggio 2019

TRE DOMANDE A…

 
“Spazio In situ” a Tor Bella Monaca. A Roma la periferia è all’avanguardia, e ce la racconta Christophe Costantin
di Valentina Muzi

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Spazio In Situ è una realtà giovane e contemporanea che trova il suo terreno fertile nella periferia romana di Tor Bella Monaca. Esso non si identifica solo come contenitore ma vero e proprio contenuto di idee e creatività, veicolato dalla direzione artistica di Christophe Costantin. Lo abbiamo intervistato.
Spazio In Situ veste i panni non solo di contenitore di mostre ma anche quelli di laboratorio di idee e progetti. Com’è nato? Quali sono gli obiettivi che ha raggiunto e quelli che si prefigge di raggiungere?
«All’inizio Spazio In Situ era un semplice laboratorio con delle postazioni ben delimitate e con l’obbiettivo di crescere insieme condividendo idee. Il lavoro dei singoli artisti veniva inconsapevolmente contaminato dalle idee degli altri. Era un grande open space diviso in due: da una parte gli spazi personali e dall’altra la lavorazione delle opere. Ma a dire vero non è rimasto così al lungo. Ci eravamo insediati negli studi da circa tre mesi, quando abbiamo inaugurato quello che allora si chiamava Studio In Situ; in quell’occasione abbiamo capito il forte potenziale espositivo del nostro spazio. Da quel momento è cambiata la dinamica interna e con “Assurdità contemporanee”, si è lasciata ai sei artisti fondatori la possibilità di sperimentare lo spazio con una personale. Questa serie di mostre ha permesso di capire più profondamente l’identità di In Situ e abbiamo potuto notare delle somiglianze nelle problematiche personali. Era chiaro, infatti, che tutti ci interrogavamo sulla società con la quale interagiamo ogni giorno e sul modo di rappresentarla. L’idea comune era di diventare una finestra sul reale, portando lo spettatore a guardare la realtà come se fosse un quadro, trascinandolo dall’altra parte della tela e portandolo così ad interrogarsi sul mondo nel quale vive».
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BOH?!!, Christophe Constantin | curated by Porter Ducrist, text by Marta Zandri, photos by Marco De Rosa
La scelta di definirsi all’interno di una periferia di Roma è sinonimo di coraggio e di confronto con le varie “contaminazioni” del tessuto urbano. Questa scelta quanto ha inciso sullo spazio, sui progetti e sulle idee?
«Ad essere sincero, abbiamo preso uno spazio in periferia senza pensare a tutto quello che poteva comportare. Come l’ho detto prima non siamo nati con l’intento di diventare uno spazio espositivo ci siamo arrivati un po’ per caso e un po’ perché era necessario. La periferia è stata scelta per comodità, abbiamo individuato uno spazio “grande”, che non era lontano da dove vivevamo, con la vicinanza della metro C e con un accesso rapido a fornitori di materiali necessari alla nostra produzione. Spazio In Situ è a Tor Bella Monaca e ci ridiamo sopra, ma ormai non posso immaginare migliore situazione per sviluppare un tale progetto. Venire da noi è un po’ come una gita scolastica, tutti conoscono il nome di questa periferia ma nessuno ci si ferma, quando la gente viene a vedere una mostra calcola il viaggio che deve effettuare per raggiungere la nostra realtà. Per la mostra “In da Place” Andrea Frosolini aveva realizzato un QR code integrato sull’invito che inseriva in Google Maps la posizione del nostro spazio; il fruitore doveva solo premere “avvia” per iniziare il suo pellegrinaggio in destinazione di Spazio In Situ. Mi ricordo anche che durante la mia mostra, un gallerista romano è venuto a trovarci, non si rendeva ancora conto dello sforzo necessario per raggiungerci, arrivando ci ha esclamato con il sorriso: “Siete di un’arroganza senza limite a pensare che la gente farà questo viaggio per venire qui!” Da quel giorno è venuto ad ogni mostra, come tanti altri. Sappiamo che siamo fuori mano e ci obbliga a essere estremamente esigenti nei confronti di esposizione che presentiamo. Non ci possiamo permettere di sbagliare un passo, ne siamo consapevoli e cerchiamo sempre di stupire con quello che facciamo, il pubblico viene da noi non perché siamo il posto figo in cui andare, ma perché lo portiamo ad interrogarsi sul mondo in cui vive, lo mettiamo in difficoltà, poiché oltre ad essere fuori dal circuito ufficiale, anche ciò che esponiamo è diverso, spiazza. Rimettiamo in questione ogni certezza sull’arte e su quello che è il ruolo dell’arte tenendo un forte legame con il reale. Sicuramente il fatto di essere in periferia ci permette e ci obbliga ad essere attenti a quello che è il reale e interagire con le persone intorno a noi, che non si intendono d’arte per niente, ci riporta con i piedi terra. Stare a Tor Bella Monaca non ha certamente il vantaggio di attirare il pubblico, ma ha sconvolto completamente la pratica artistica di ogni membro dello spazio. Non penso che un tale sviluppo sarebbe stato possibile in un’altra zona».
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Angela Cerullo & Giorgio Bloch / Caroline von Gunten | text by Porter Ducrist, photo by Marco De Rosa
All’interno del complesso processo di sviluppo sociale e culturale l’arte e gli artisti – soprattutto i giovani artisti – quali responsabilità hanno oggi?
«Penso che l’artista abbia un peso enorme sulle sue spalle, perché l’arte in sé ha perso la sua autorità da vari punti di vista. Si sono sviluppate in Italia varie dinamiche che hanno portato il sistema dell’arte ad una crisi totale. Negli anni ‘70 Roma era una delle piazze più importanti al mondo, in cui tutti gli artisti venivano, c’era un dinamismo culturale che ha messo in luce i più grandi nomi dell’arte di questi anni. Cosa è successo? E cosa succede ancora oggi? Ho sentito tante spiegazioni, la crisi, il mancato sostegno istituzionale, il collezionismo che si è chiuso su alcuni nomi noti. Sicuramente tutto questo non ha aiutato, ma penso che è solo un modo per nascondere le proprie responsabilità. Per me non è tanto il fatto che è cambiato il sistema dell’arte, quanto che durante questi ultimi decenni noi artisti abbiamo perso il monopolio sulla produzione d’immagini e gli spazi espositivi convenzionali sono stati affiancati dagli spazi virtuali di fruizione. Penso che quella che tocca l’arte sia una crisi molto più profonda che quella sottolineata da vari attori del nostro ambito. Ci troviamo un po’ come quelli che hanno dovuto oltrepassare l’invenzione della fotografia. Oggi si vive questa sovrapposizione tra arte e virtuale, uno contamina l’altro e tutto è illusione. Bisogna capire qual è il ruolo dell’artista, soprattutto di quelli più giovani, per portare un’alternativa al sistema attuale. Noi di In Situ tentiamo di rispondere a tutte queste problematiche. Il rappresentare la banalità andando oltre lo spettacolare ci porta a esporre quello sul quale nessuno si sofferma, presentiamo un’arte che in un certo modo cerca di non esserlo più, “quello che vedi è quello che è”, sembra stupido ma crea uno slittamento sul concetto profondo di arte, perché la porta non a rappresentare il reale, cosa che oggi è tutto il sistema sociale, ma ad essere il reale. L’arte si deve reinterrogare su quello che è e sono gli artisti a doverlo fare con la loro produzione, è sempre stato così. Penso che sia chiaro che non si può lasciare cadere il sistema dell’arte in una semplice rappresentazione, lasciandolo perdersi in questa tragica auto contemplazione, bisogna portare nuove piste, o forse vecchie piste che con la società contemporanea e le nuove tecnologie possono essere esplorate più in profondità. L’arte è sempre stata legata alla storia e alla società nella quale si sviluppava, ma oggi l’arte è ovunque perché tutto è spettacolo. Come superare questa situazione assurda? Forse parlando della banalità del reale in confronto all’illusione totale nella quale siamo immersi quotidianamente. Il reale nell’arte è sicuramente distante dal reale di tante altre cose, ma non lo rende comunque meno reale delle altre realtà. L’artista ha un ruolo, perché il suo mestiere lo obbliga ad interrogarsi sull’immagine e sui suoi poteri, cosa che altri produttori di immagine non hanno. L’artista deve avere la consapevolezza di quello che è successo questi ultimi anni e deve prendere una posizione chiara, non di rappresentazione ma di azione concreta, dove presenta il reale senza altri filtri, fino a portare lo spettatore al limite dell’assurdo. Non è facile perché l’equilibrio da mantenere è molto fragile. C’è tanto da fare per i giovani artisti e sono tanti i progetti da intraprendere, l’artist runspace ne è un esempio, spero vederne spuntare altri a Roma. Questa forma di collaborazione nasce un’alternativa al sistema dell’arte attuale che trovo proficua per tutti, anche i galleristi e i curatori, grazie a collaborazioni tra i vari attori dell’ambito».
Valentina Muzi 
Spazio In Situ
http://www.spazioinsitu.it/
Via San Biagio Platani 7, 00133, Rome, Italy
insitu.roma@gmail.com

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