03 dicembre 2018

MUSICA

 
Messiaen, una sfida al minimalismo pianistico: intervista a Paolo Vergari, tra contemplazione e colorazioni timbriche
di Giuseppe Distefano

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Raramente eseguita integralmente, l’opera di Olivier Messiaen Vingt Regards sur l’Enfant-Jésus si preannuncia come un vero e proprio evento musicale. Artefice dell’operazione è il pianista Paolo Vergari che in due serate, venerdì 9 e sabato 10 novembre, darà vita alle note della monumentale opera del compositore francese nella Chiesa di San Giorgio in Velabro, a Roma. Ad accompagnare e introdurre il pubblico all’ascolto saranno gli interventi videoregistrati di due personalità: il teologo Pierangelo Sequeri e il musicologo Raffele Pozzi. Scritta tra il marzo e settembre del 1944, “Vingt Regards” rappresenta un esempio luminoso nella “traduzione” di una genuina esperienza di fede, e rivela un pianoforte capace di novità nel suono, nel colore, nel timbro. Fondatore, nel 1936, del gruppo Jeune-France con A. Jolivet, Y. Baudrier e Daniel-Lesur, Messiaen elaborò con estrema coerenza intellettuale un complesso sistema linguistico, nel quale i risultati di metodici studi sul ritmo, sulla modalità, sul timbro e le tecniche della musica seriale si fondono con suggestioni di un misticismo religioso di matrice cattolica, ma non estraneo a influssi orientali e con minuziose ricerche sul canto degli uccelli. Messiaen fu potente innovatore di un linguaggio pianistico, ma anche organistico e orchestrale, che prende dagli stilemi di Chopin, Debussy, Scriabin e Ravel per pervenire ad effetti coloristici di inesauribile fantasia che con termini sinestetici chiama “accordi – vetrata”, “arcobaleni teologici”.
Si può dire che Messiaen sia una delle figure più importanti dell’avanguardia musicale del Novecento caratterizzata dalla ricerca incessante sul linguaggio e sulla materia sonora. In cosa l’opera di Messiaen in particolare, costituisce un momento fondamentale nello sviluppo del pensiero musicale del XX secolo? 
«Difficile esaurire in breve la sua importanza. Messiaen indaga molto sul senso del tempo, che per un musicista è uno dei parametri fondamentali di lavoro. Il compositore in generale è una sorta di “mago” del tempo. È capace attraverso la sua arte di farci percepire intervalli di tempo molto diversi da quelli reali. Messiaen stringe il tempo e lo dilata al limite delle possibilità. Il significato, per esempio, di un brano famoso come il Quatour pour la fin du temps (composto nel 1941, nei due anni di prigionia durante la guerra) può essere letto come un richiamo all’Apocalisse e allo stesso modo inteso come la fine dei tempi, delle stagioni, delle scansioni ritmiche in senso assoluto. Per Messiaen, però, la “fine del tempo” a mio avviso, non è il nulla, il vuoto. È una fine che, per lui profondamente cristiano, trova la pienezza della gioia nel rapporto con il Dio Creatore che abbraccia spirito e corpo. Personalmente tengo molto alle indicazioni metronomiche del compositore, che lui tra l’altro esigeva. Ci sono brani con un andamento molto lento, che a volte capita di ascoltare, eseguiti da alcuni interpreti, in maniera più veloce, quasi un “dovere” di portare avanti la frase musicale per affrancarsi dal rischio di stancare. Invece la chiave sta proprio nel concentrare la percezione nell’”infinito presente”, luogo reale del tempo di Dio in cui Messiaen vuole farci entrare».
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Olivier Messiaen
Non risulta che Messiaen sia un compositore molto conosciuto in Italia dal grande pubblico. Secondo lei a cosa è dovuto?
«Questo è un argomento complesso. Credo che uno dei motivi sia legato al fatto che, in generale, la musica contemporanea oggi non è così “di massa”, non solo in Italia ma anche in altri paesi europei. Ma questo argomento ci porterebbe troppo lontano e forse rimarremmo impantanati. A differenza dell’Italia Messiaen è molto conosciuto in molti paesi, per esempio Germania, Inghilterra, Giappone, Stati Uniti. Sul perché di questa mancanza i motivi sono storici e riguardano i diversi percorsi culturali che i vari paesi europei hanno sviluppato in tutto il ‘900, in particolare nel secondo dopoguerra. Come reazione alla dittatura in Germania e in Italia, c’è stata una sperimentazione radicale spinta al limite nella sua libertà di espressione. Messiaen, comunque, pur senza volerlo, per alcune sue ricerche strutturaliste è stato preso a modello dai giovani compositori del secondo ‘900 – tra cui Boulez, Stockhausen, Xenakis, Takemitsu -. Nello stesso tempo, però, creava una sorta d’imbarazzo per altre sue inclinazioni, soprattutto la passione per l’ornitologia che per Messiaen non era semplicemente un passatempo, ma uno studio serio sulle possibilità melodico-ritmiche del canto degli uccelli che, come dice il teologo Sequeri, lui percepiva come una sorta di controfigura degli angeli».
Il suo essere cattolico ha costituito anche un motivo d’imbarazzo?
«Credo proprio di sì. E forse lo è ancora oggi. Pensiamo alla fortuna, ed è lui stesso ad ammetterlo, che ha avuto la composizione pianistica Mode de valeures et d’intensités.  Per Messiaen era una sorta di studio che, come lui disse, “valeva tre volte niente”. Per i giovani di cui sopra dicevamo, questa breve opera è diventata un brano iconico che ha aperto le infinite possibilità del serialismo applicato non solo alla scala dei 12 semitoni, come per la musica dodecafonica, ma anche come possibile schema a tutti gli altri parametri della musica: ritmo, dinamiche, attacco del suono, ecc. Non mi azzardo a dare un giudizio sul percorso che la musica ha fatto nel secondo dopoguerra, ma mi piace osservare che a Messiaen non interessavano né le mode, né le ricerche fine a se stesse, né a fare scuola. Infatti i suoi allievi sono andati totalmente in altre direzioni. Lui è un compositore “forte” di significati, e cerca di sostanziarli con una sua lingua veramente libera e originale».
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Olivier Messiaen
Lei ha affrontato con grande passione quest’opera di Messiaen che, sicuramente, le ha richiesto un grande impegno nello studio e nella preparazione. È uno dei suoi compositori preferiti. Cos’è che gli e lo fa amare così tanto?
«Devo anzitutto ringraziare la mia insegnante Giovanna De Fanti che negli anni del conservatorio mi ha fatto studiare un repertorio molto vasto, e Messiaen mi ha subito catturato. Un altro passaggio è stato la conoscenza e la frequentazione amichevole di un compositore francese allievo di Messiaen. Con lui ho maturato decisamente la spinta ad approfondire i Vingt Regards, ed è stato come essermi legato ancor di più alla vita dell’autore. Uno dei miei motivi d’interesse, anche se secondario, è che la sua musica contrasta in qualche modo un certo minimalismo oggi imperante. Mi piace Messiaen anche perchè il suo verbo estetico musicale è infinitamente ricco. Quindi lo suono con molto piacere proprio per la complessità della scrittura pianistica. È una musica che deriva geneticamente dal grande pianismo del ‘800/’900, da Liszt a Debussy, Ravel, Bartòk, e che dipinge colori e timbriche originali per uno strumento che sembrava aver esaurito le migliori possibilità foniche. Certamente rappresenta una difficoltà per chi è nuovo all’ascolto, ma è una sfida di poter rimanere “svegli” alla sollecitazione artistica».
Giuseppe Distefano
Il Ritmo e l’Eterno – Sguardi sull’al di là. Itinerario in due tempi attraverso la musica di Olivier Messiaen. “Vingt regards sur l’Enfant- Jésus”, pianista M° Paolo Vergari. 
A Roma, Chiesa di San Giorgio in Velabro
Venerdì 9 e sabato 10 novembre 2018 – Ore 20,30 – Ingresso libero
Con il patrocinio di: Pontificio Consiglio della Cultura, Chiesa di San Giorgio in Velabro, il Varco Associazione Culturale, Rerum rete europea risorse umane e Associazione Nuove vie per un Mondo Unito.
 

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