01 novembre 2018

TEATRO

 
Il “cuore di vetro” di Filippo Timi, per spezzarsi e rimanere interi. A Milano
di Marcella Vanzo

di

Alice nel paese delle meraviglie, Artaud, Jodorowski. Un titolo che richiama Tennesse Williams, ma no è Filippo Timi. 
Timi sposa, Timi cavaliere, Timi vola, Timi casca e si spezza. Timi e un angelo, la splendida Marina Rocco. Timi e la regina di cuori, la favolosa Elena Lietti. Timi e il bianconiglio. No, è un menestrello, canta Nino d’Angelo, si chiama Andrea Soffiantini e ci diverte molto. Timi e lo scudiero, il quattordicesimo di quattordici figli, fuggito per sorridere, ma non si fida. È Michele Capuano, misto irresistibile di naïveté e sfiducia.
L’angelo ci racconta di vergogna e fragilità e di quante volte ci si deve spezzare per restare interi. La regina di cuori stende il bucato, invita il giovane scudiero come una gatta in calore, parla bolognese e ci fa ridere di cuore. Lei sì che sa cos’è la vita.
Nel frattempo il conto alla rovescia: Neil Armstrong parte con la missione Apollo 11 verso la luna. L’astronauta atterra, la calpesta, ci rassicura: ha mosso i primi passi sul corpo celeste. Compie il viaggio che l’umanità intera ha sempre sognato. 
Ma il viaggio più difficile è quello di ogni uomo contro le sue paure.
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Un cuore di vetro in inverno, foto di Noemi Ardesi
Ci prova e ci riprova il cavaliere, canta e casca, cerca conforto nella religione, Dio, la Madonna e Giuseppe, Adamo ed Eva, insieme a Michael Jackson e al dialetto umbro.
È il Timi migliore, quello popolare e scabroso, un misto di alto e basso, di piume e humor nero, di sacro e profano. Cieli lividi, nuvole e stelle brillanti, l’immancabile disco-palla a specchi che a tratti acceca il pubblico, mentre le sue parole ci trascinano a cascata. Basse ma alte, poetiche ma pop, sconce ma inevitabili. Con lui ridiamo, con lui moriamo, con lui ci rialziamo. La sposa, il cavaliere e il piccolo presepe di speranze, paure, coraggio, amore e la pazienza o l’impazienza con cui lo cerchiamo, dentro e fuori da un bar.
Presto cavaliere presto, che la minestra si fredda.
I finali sono due o tre o quattro, ogni personaggio ci presenta il suo, per poi finire con quello di tutti sulle note di Michael Jackson. E mi viene in mente il primo Timi, quello di Skianto, quello che si emoziona per una cugina nata male, quello che ora ci emoziona perché per non essere dimenticati poi bisogna prendere i tranquillanti. Il cielo è troppo lontano – the sky is the limit – la scala è troppo alta, lo scudiero traballa e le ali, quelle, non ci sono. 
Il cavaliere si libra nel cielo, vola alto sì, si arrotola su se stesso e poi casca, si sfracella e diventa uomo. È la paura che va sconfitta, quella di vivere. E Timi ce lo dice col sorriso, in un tramonto surreale post atomico e dolce, sulla porta di un bar tra le nuvole, la porta morbida di un luogo in cui entrare sempre, da cui non uscire mai. Grazie Filippo.
Marcella Vanzo

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