18 ottobre 2018

Roma apre gli occhi per Videoarte. Ce ne parla la curatrice della rassegna, Damiana Leoni

 

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Quanta arte c’è nelle immagini in movimento? Tanta. Infatti c’è un termine preciso per indicare questo particolare linguaggio espressivo. Si tratta di una parola composta, ben bilanciata, si pronuncia velocemente quanto basta per mantenere alta la soglia dell’attenzione e si sentirà spesso lungo le strade di Roma. In particolare dal 20 al 28 ottobre, quando gli schermi – e gli occhi – saranno tutti per Videoarte, sezione a cura di Damiana Leoni, nell’ambito del più ampio programma di Videocittà. Widen your vision, rassegna di più di 100 eventi diffusi in spazi vari, che partirà già dal 19 ottobre. Ci dice tutto la curatrice. 
Dai leggendari pionieri fino ai progetti inediti, tra mostre, proiezioni e ospiti, per un ricchissimo calendario diffuso tra 25 spazi di Roma. Può consigliarci un itinerario attraverso Videoarte, per non perderci nulla (o quasi)?
«Il programma si inaugura sabato 20 ottobre nella Videogallery del Maxxi con Nam June Paik, per il quale presenteremo un omaggio attraverso due tra le sue opere più celebri: Global Groove (1973) e Bye, Bye Kipling (1986). Sempre al Maxxi si svolgeranno il festival KIZART, la videoarte per i bambini, a cura della NOMAS Foundation di Roma, evento nato con l’obiettivo di introdurre i bambini all’arte contemporanea e la presentazione, presso l’Auditorium, del film di Pierre Bismuth Where is Rocky II? (durata 93’). Da non perdere, sicuramente, la prima nazionale di Sweat di Candice Breitz (dal 23 al 28 ottobre). Un itinerario speciale è offerto dalla passeggiata che va dal quartiere Gianicolo a Trastevere – Lungara, toccando le tappe dello Studio Stefania Miscetti, con l’imperdibile Yoko Ono Film Festival, l’American Academy in Rome che presenta, a cura di Patrick Rumble e Peter Benson Miller, i film sperimentali di Paolo Gioli, il progetto di Carlos Casas, Vucca, presso la Real Academia de España en Roma, la rassegna di Fondazione Volume! Italiani brava gente. Amnesie e memorie del Colonialismo Italiano, Fondazione Volume!. Il panorama delle Accademie e degli Istituti stranieri si completa con l’Accademia Tedesca di Roma-Villa Massimo, che offre la straordinaria opportunità di accedere allo studio dell’artista Julian Rosefeldt e con l’Istituto Svizzero di Roma che propone Charachters With Unknown Power del duo Rico Scagliola &Michael Meier. Da non perdere alla Fondazione Giuliani il percorso a cura dell’artista norvegese Fredrik Vaerslev che presenta un video del 1974 di Gordon Matta-Clark. E tornando al Maxxi il film di Shirin Neshat Looking for Oum Kulthum. Ma c’è anche un ricco programma di gallerie, fondazioni, spazi no profit che si può consultare online e che regala tantissime opportunità». 
Tra le tante proposte in programma, è possibile individuare uno o più temi dominanti? 
«Sì ci sono diversi filoni: c’è un percorso storico, che collega idealmente Paik, il padre della video arte ad un’artista contemporanea come Candice Breitz. C’è poi un focus sui film d’artista, realizzati con tutte le tecniche, lo staff e le caratteristiche di una produzione cinematografica, ma con le immagini e i contenuti che contraddistinguono la sensibilità dell’artista, che collega implicitamente il lavoro di Pierre Bismuth a quello di Shirin Neshat. E poi ci sono le splendide rassegne: oltre alla già citata Kizart, c’è Il corpo è un indumento sacro, ideata da Beatrice Bulgari, a cura di Paola Ugolini all’ Ex Planetario delle Terme di Diocleziano, che come dice il titolo stesso si confronta con il tema del corpo e, sempre nella stessa location Ready, Steady, Go, a cura di Magic Lantern Film Festival, che indaga le contaminazioni tra video arte e pop music». 
Per Videoarte, oltre alle istituzioni, sono state coinvolte anche realtà private e spazi indipendenti. Ed è un dialogo niente affatto scontato. Come avete fatto a intrecciare tutto in una trama coerente? 
«Sì, questa è una esperienza senza precedenti: è la prima volta in Itala che così tanti spazi partecipano in un evento all’insegna della Video Arte. Ma è come se avessimo creato tutti insieme una grande mostra, dove la coerenza è data dal filo conduttore della Video Arte, che unisce, pur mantenendo le specificità di ognuno».
Roma è stata la capitale delle immagini in movimento, lo è ancora? Potrà trovare nuovi modi per esserlo anche in futuro? 
«Certo. Sicuramente Videocittà aiuta a rafforzare quella che è stata l’industria più importante della Capitale. Roma è un set cinematografico e se pensiamo che la città di New York registra come una delle sue entrate più alte l’affitto del suolo pubblico come location per il cinema, questa è una buona notizia. D’altra parte non poteva essere che Roma la sede di Videocittà. Come Milano ha il design – e il Fuorisalone – Roma ha il cinema e Videocittà, che si innesta perfettamente in quella che è la tradizione della Capitale». 
In home: Shirin Neshat, Looking For Oum Kulthum, 2017, Courtesy of Razor Film, Coop99 Filmproduktion, In Between Art Film, Vivo film e Schortcut Films 
In alto: Nam June Paik, Global Groove, 1973, Courtesy Electronic Arts Intermix (EAI), New York

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