17 ottobre 2018

Utopia: favorevoli o contrari?

 
A Verona le opere di oltre quaranta artisti, all’ex Dogana, dipingono gli scenari possibili tra “le incertezze presenti e l’ambizione di un nuovo orizzonte”

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All’alba del Ventunesimo secolo, nell’era di Internet e dei social media, si può ancora parlare di utopia? E in caso affermativo, in quali termini? Alcuni filosofi, come lo spagnolo Santiago Zalaba, sono pessimisti: “La possibilità di interpretare il passato, ormai drasticamente ridotta, è parallela alla possibilità di interpretare i futuri possibili”, sostiene. 
Altri sono più possibilisti: Daniele Balicco indica nel realismo una strada per inventare nuove narrazioni, “Dando luogo a spazi nuovi e conflitti con l’universo del pensabile, e dunque, della verosimiglianza” suggerisce. 
Uno strumento per farlo, secondo Zabala, sarebbe proprio l’arte contemporanea: “L’interpretazione dell’opera d’arte non riguarda il creare un discorso alternativo sul presente e sul futuro, ma ha le capacità di creare un’alterazione di quel discorso. Le alterazioni sono la via dell’utopia”. Un argomento complesso e stimolante, che Adriana Polveroni e Gabriele Tosi hanno messo al centro della mostra collettiva “Chi Utopia mangia le mele”, inaugurata all’ex Dogana di Terra di Verona il 12 ottobre, in concomitanza di ArtVerona, e aperta fino al 2 dicembre. Un racconto suggerito dalle opere di 41 artisti, allestite in maniera impeccabile nello spazio monumentale dell’edificio che ospita la rassegna, progettato dal conte Alessandro Pompei nel 1746 per ospitare la nuova dogana, in perfetto stile neoclassico, e costruito in barba ai dettami della Serenissima, che impediva di erigere edifici grandiosi essendo assoggettata al potere dominante di Venezia. 
Restaurata di recente, la Dogana è stata aperta al pubblico in questa occasione come sede espositiva, per sottolineare la volontà di accompagnare l’evento fieristico con una rassegna di carattere culturale, che risponde all’idea “di un’utopia resiliente, adeguata al nostro tempo, del quale raccoglie le incertezze ma per il quale conserva l’ambizione di un orizzonte più felice” sottolinea Polveroni.
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Chi Utopia mangia le mele, ArtVerona 2018 Veronafiere Foto Ennevi

Uno statement che trova una perfetta corrispondenza nell’opera di Gianni Pettena Tumbleweeds Catcher, posizionata al centro del cortile: una sorta di monolite ricoperto di frasche che l’artista ha realizzato nel 1972 a Salt Lake City, negli Stati Uniti, ad indicare una sorta di felice connubio tra natura e architettura. Accolgono i visitatori all’ingresso della mostra due opere altrettanto emblematiche: D’IO (1971) di Gino De Dominicis, con la registrazione della fragorosa risata dell’attore Vittorio Bignardi, e Air-port City Flying Garden (2006) di Tomàs Saraceno, una sorta di città ideale volante immaginata dall’artista. Tutta la mostra si sviluppa secondo due filoni, che suggeriscono un’idea di utopia positiva e raggiungibile e il suo opposto. Del primo fa parte senz’altro It’s a one way (2007) di Paola Pivi, con il leopardo che si muove in un tappeto di tazze finte di cappuccino, a dimostrare quanto l’arte sia capace di immaginare mondi assurdi ed estremi e di realizzarli, che si avvicina a Bilico (1995) di Andrea Santarlasci. Si tratta di una scultura composta da una grossa radice in legno mantenuta in bilico da due piccole casette trasparenti, in un equilibrio precario ma denso di significati poetici. 
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Chi Utopia mangia le mele, ArtVerona 2018 Veronafiere Foto Ennevi
Un filone neosurrealista che prende le mosse dalla scultura di Pino Pascali Senza titolo (O cavalletto) (1968), capolavoro scaturito dall’attitudine sciamanica dell’artista, scomparso pochi mesi dopo averla realizzata. Il filo dell’ironia unisce le tre opere di Maurizio Cattelan, l’artista più rappresentato in mostra e simbolo dell’atteggiamento di marginalità nei confronti del reale: da Una domenica a Rivara (1992) a Cesena 47 A.C. Forniture Sud 12 (2nd half- time) (1991) fino a Others (2011) le opere dell’artista esprimono un desiderio di fuga e di fallimento felice che Cattelan ha elevato a fondamento della propria ricerca. La linea politica e sociale attraversa come un incandescente fil rouge l’intera mostra, con opere intense e inaspettate, a partire dal video di Ugo La Pietra La Grande Occasione (1973), che racconta il desiderio dell’artista di esporre migliaia di idee in un’ipotetica mostra alla Triennale. Altrettanto rara l’opera Il quotidiano cancellato (1985) del poeta visivo Luciano Ori, che altera la prima pagina di un giornale eliminandone i contenuti, con un gesto di protesta diretto e radicale, mentre più esplicita nella sua volontà di denuncia è Centro di permanenza temporanea (2007), il video di Adrian Paci dedicato alla condizione di precarietà dei migranti. Se, come dice Zalaba, l’opera d’arte è uno spazio in cui restituire vitalità alla libertà interpretativa del passato, del presente e quindi del futuro, questa mostra affronta il tema in maniera “caleidoscopica”, costruendo una trama di significati, anche contraddittori, che vale la pena percorrere per comprendere meglio la capacità dell’artista di andare oltre alla realtà senza mai rinunciare alla propria consapevolezza.
Ludovico Pratesi
in alto: Thomas Kuijpers, Love hate, #firstcrib, #goldencrib,
#highestcrib, installation view della serie First Year (aka the Trump
Show), 2017 ©Thomas Kuijpers, Courtesy METRONOM, Modena

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