28 luglio 2018

Se un museo è davvero per TUTTI

 
Perché studiare percorsi museali per la disabilità non significa aprire le porte a pochi esclusi, ma spalancarle a tutti. Ecco il segno di una nuova sensibilità condivisa

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L’8 novembre scorso si è svolta, presso La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la prima visita museale per persone con disabilità intellettiva. L’iniziativa era strutturata all’interno del progetto “Museo per tutti” promosso, dal gennaio del 2015, dall’associazione “L’abilità onlus” con il sostegno finanziario della Fondazione De Agostini.
La finalità del progetto è quella di costruire strumenti e percorsi specifici all’interno dei musei e di altri luoghi di cultura per permetterne una fruizione il più possibile completa a persone con disabilità intellettiva, ragazzi e adulti.
Spesso parlare di accessibilità dei beni culturali significa focalizzarsi sulla risoluzione di problematiche inerenti la disabilità motoria o sensoriale. Minore attenzione viene riservata, invece, all’accessibilità per le disabilità intellettive.
L’associazione “L’abilità” ha intrapreso questo percorso innovativo con l’intento di offrire anche alle persone disabili intellettive la possibilità di fruire dell’arte, nella consapevolezza che questa esperienza abbia la capacità di incidere sulla qualità della vita dei pazienti, sul benessere generale e sullo sviluppo della persona, con riscontri tangibili e risonanze anche nella sfera delle aree cognitive ed emotive.
Carlo Riva, direttore di “L’abilità” e ideatore nonché responsabile del progetto “Museo per tutti”, mi ha raccontato come l’idea del progetto sia nata circa 6 anni fa a seguito dell’invito della Fondazione De Agostini a occuparsi di inclusività in ambito museale. Si è realizzato, dunque, un progetto pilota per disabili intellettivi presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. È in questo contesto di ricerca e sperimentazione che ha preso forma “Museo per tutti”. È importante – sottolinea ancora Riva – che questa attività non venga interpretata come un laboratorio di arte-terapia, ma come un’esperienza per sperimentare benessere attraverso l’arte. Per far questo, è stata messa a punto una metodologia mirata ad accogliere i pazienti innanzitutto in modo da ridurre al massimo il senso di spaesamento e smarrimento ricorrente quando si varca la soglia di un museo, dove la dimensione degli spazi, l’acustica e le numerose sollecitazioni sensoriali sono amplificate e moltiplicate. Da qui la scelta di lavorare con piccoli gruppi e concentrarsi su poche opere, a cui dedicare il tempo necessario per una meditata esplorazione sensoriale che offra l’opportunità di far affiorare vissuti e percorsi fantastici nel paziente. La metodologia dell’intero progetto si fonda sul coinvolgimento dei musei affinché, conclusa la sessione formativa, siano in grado di attivare questo tipo di servizio sul territorio di competenza in assoluta autonomia. Per questo “Museo per tutti” è strutturato in tre fasi.

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La prima prevede che, all’interno di ogni museo aderente all’iniziativa, si costituisca un gruppo di lavoro tra membri dell’associazione “l’Abilità”, psicopedagoghi e operatori museali. Questo gruppo identifica delle opere e un percorso idoneo e, sulla base di questo, organizza una guida che viene caricata sul sito del museo. La parte iniziale della guida è dedicata a una spiegazione semplice su cosa sia un museo e i comportamenti da tenersi, attraverso un testo scritto con una versione anche in simboli PCS (Picture Communication Symbols), cioè disegni e pittogrammi utilizzati già da diversi anni nella Comunicazione Aumentativa Alternativa per individui con bisogni comunicativi complessi. La guida prosegue, poi, con la presentazione di alcune opere attraverso foto e un testo molto sintetico su tecnica d’esecuzione, significati e storia del lavoro preso in esame, nonché sulle altre informazioni che possano contribuire a stimolarne l’osservazione. Sono quadri e sculture sia astratte che figurative. La guida viene concepita per essere utilizzata successivamente al di fuori del museo, per far proseguire la risonanza dell’esperienza stessa. Poi, a sottolineare ulteriormente l’attenzione all’accoglienza e al benessere della persona, viene messa a disposizione una piantina su cui sono individuate le zone di maggiore o minore luminosità degli ambienti.
La seconda fase del progetto, invece, consiste nella formazione degli operatori museali che, poi, dovranno offrire il servizio. Particolare attenzione viene riservata alla metodologia di lavoro in sala con gli utenti, all’individuazione delle modalità per stimolarne l’osservazione e alla formalizzazione dei momenti dell’esperienza. Sebbene la metodologia sia la stessa per un pubblico di utenti adulti o bambini, quello che differenzia le due visite è il linguaggio usato e il modo di comunicare e interagire, cioè il percorso che conduce alla costruzione dei significati dell’esperienza dell’arte e al piacere che ne deriva.
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BeGo Museo Benozzo Gozzoli di Castelfiorentino
La terza, e ultima, fase è quella della sperimentazione del percorso, a cui ho assistito personalmente a Roma, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, in occasione della visita dell’8 novembre scorso di un gruppo di una decina di pazienti, accompagnato da operatori e psichiatri del Centro Sperimentale Alzheimer dell’Istituto San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Genzano di Roma. L’animatrice, Miriam Mandosi, dopo aver accolto i pazienti ha condotto la visita soffermandosi di fronte ad alcune opere di artisti quali Van Gogh, Klimt, Boccioni, Balla. La partecipazione è stata nutrita e coinvolgente, grazie a una metodica di animazione che, diversificando gli approcci, non ha mai lasciato nessuno escluso dall’esperienza. L’animatrice, anche grazie ai consigli ricevuti nel corso della visita da Carlo Riva che supervisionava l’evento, è stata particolarmente attenta a sintonizzarsi sul flusso di sguardi dei pazienti e a intercettarne e anticiparne le richieste e, quindi, ad aiutarli, successivamente, a processare la loro emotività attraverso parole e immagini che rendessero la densità dell’esperienza.
Casualmente, nella stessa giornata, era presente in Galleria anche un gruppo di malati di Alzheimer, animato da operatori della didattica (partecipanti al progetto “La memoria del bello”) che, seduti nella Sala della Guerra di fronte al grande quadro di Giovanni Fattori e alla scultura di Leoncillo, osservavano, riconoscevano, ritrovavano ricordi e si emozionavano. Questa coincidenza l’ho percepita come un segno di una nuova sensibilità condivisa e di un impegno congiunto di società civile, associazioni, fondazioni e musei per rendere accessibili i luoghi della cultura, nella consapevolezza che studiare percorsi per la disabilità non significa aprire le porte a pochi esclusi, ma spalancarle a tutti, moltiplicando le possibilità per ognuno di approcciarsi alla fruizione dell’arte con modalità sempre diverse e sempre più originali e personali.
Paolo Marabotto

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