19 luglio 2018

Col nodo in gola, ma senza paura

 
Un ultimo sguardo al Festival di Santarcangelo. Entrando in aule scolastiche, nella questione della censura e di un corpo dalla memoria “politica” troppo facile da cancellare

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Nella palestra dell’ITC Molari fa molto caldo. Sono le 19 e la luce entra ancora forte dalle grandi e alte finestre dell’istituto. Alessandro Sciarroni con Don’t be frightened of turning the page apre la 47esima edizione di Santarcangelo Festival piroettando su sé stesso per 40 minuti. 
Una performance apparentemente semplice: in fondo c’è solo lui in scena vestito con calzettoni di lana, bermuda e un gilet sintetico, sul nudo pavimento della palestra; ma allo stesso tempo è elegantemente complessa perché attraverso questo movimento ossessivo il performer italiano riflette sul concetto di gesto, sulla potenza che assume o potrebbe assumere, destrutturandolo fino a farne vedere il midollo, senza avere paura di scavare e scoprire cosa c’è, prima e dopo. 
La paura condiziona inconsciamente molte delle nostre azioni quotidiane. Su questo fenomeno la politica acquisisce consensi ricamando demagogia, puntando alla distruzione e non alla costruzione di una società civile. Ragionare sulla non conoscenza che genera la paura è uno degli obiettivi di questa edizione di Santarcangelo Festival, la seconda diretta da Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino, per dare le basi per la creazione di una nuova identità comune. 
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Chroma Don’t be © Alessandro Sciarroni
Dopo aver debuttato a Londra nel giugno del 2016, arriva per la prima volta in Italia As Far as my fingertips take me dell’artista libanese, attiva in Inghilterra, Tania El Khoury. In un’aula della scuola elementare Pascucci una sedia vuota è accostata al muro bianco che spicca in mezzo alla stanza: al centro un buco, non troppo largo, e un chiodo a cui sono appese delle cuffie per ascoltare la musica. Una volontaria del festival aiuta a indossare un camice bianco, da medico, a cui manca la manica sinistra e prima di allontanarsi, invita a leggere una poesia scritta sulla parete e a sedersi indossando le cuffie. Una voce calda italiana narra la storia di Basel Zaraa, artista e musicista fuggito dal Pakistan, e chiede di infilare il braccio sinistro nel buco nel muro, accolto dal tocco gentile di Zaraa, nascosto alla vista: il braccio diventa la tela su cui disegna la sua storia, pagina bianca di una tristezza da incidere. Così come Zaraa porta i segni del suo viaggio sulla pelle, anche la nostra carne diventa megafono della disparità del mondo: ma sappiamo di essere dal lato dei giusti. E sappiamo che per cancellare questa traccia basta annegare la storia con l’acqua del lavandino.
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Tania El Khoury
In un’altra aula della scuola Pascucci venti ragazzi tra i 7 e i 13 anni sono seduti ordinatamente dietro al proprio banco. L’aula è buia, solo un lumino sopra ogni banco rischiara l’ambiente. Inizia la musica, ogni ragazzo ha la sua canzone, da Ermal Meta a Tiziano Ferro: ma a parte il caos della sovrapposizione di suoni, regna l’ordine. A volte uno degli alunni rompe gli schemi, si alza in piedi guardando dritto davanti a sé, sposta il banco ma subito lo raddrizza allineato a quello del vicino di posto… Le canzoni si spengono per lasciare il posto a un Eminem al massimo volume con il quale i giovani attori si alzano e iniziano a dimenarsi, cercando di rompere i propri schemi e non essere l’ennesimo mattoncino nel muro. Quanti di loro riusciranno ad abbatterlo? Quanto impareranno a essere sé stessi? Il tema della creazione dell’identità in età scolare è molto delicato: lo spettacolo Arret sur image della coreografa greca che vive e lavora a Parigi Panagiota Kallimani, per la prima volta in Italia, mostra la difficoltà dei ragazzi a far sentire la propria voce, ad affermare la propria individualità nel sistema in una scuola che educa all’omologazione, lasciando poco spazio alla crescita individuale e alla capacità di analisi critica. Ma oggi i ragazzi non fanno i conti solo con l’ambiente scolastico: la piazza dello scontro identitario è soprattutto la rete, che tende all’appiattimento informativo incentivando un’omologazione prima di tutto commerciale. Seppur il tema sia cruciale nelle politiche culturali attuali, il lavoro di Panagiota sembra non prendere in considerazione il contemporaneo e il digitale, il nuovo vero muro da abbattere in ambito educativo. 
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Tania El Khoury
Creato appositamente per Piazza Ganganelli, il cuore della città di Santarcangelo, come una sorta di spin off di Panorama, o meglio una “scheggia impazzita” come l’hanno definita i Motus, Chroma Keys è il tentativo di sondare nuovi territori dell’identità attraverso la finzione. 
Sullo sfondo di una pedana verde, Silvia Calderoni veste e sveste molteplici identità, potenzialmente infinite, mentre Daniela Nicolò seduta su uno sgabello la riprende e la proietta sul maxischermo della piazza con il vecchio trucco del green screen, inserendola in spezzoni di celeberrimi film, creando anche una ironica confusione nel pubblico che si era accomodato davanti allo schermo per la proiezione del film successivo alla performance.
Lo straniero fa paura proprio perché strano, non riconoscibile all’interno di parametri culturali convenzionali: con un espediente comico, i Motus affrontano e abbattono le paure dando risposte a scene irrisolte con la presenza di un corpo in carne e ossa, quasi a dare un volto all’ignoto inserendo il proprio. Si ha paura di ciò che non si conosce, ma se lo si identifica o addirittura lo si personifica, la paura si annulla: il vecchio modo di dire di mettersi nei panni degli altri oggi torna più attuale e al tempo stesso più difficile che mai, tanto da doverlo ricordare anche ai nostri governanti: “pensate se in Libia ci fosse la vostra famiglia”.
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Panagiota Kallimani
Tamara Cubas torna in Italia con Multitud, spettacolo del 2015 con cui l’artista ha rappresentato l’Uruguay alla dodicesima Biennale dell’Havana. Settanta persone, attori e non, preparate da un workshop che ha preceduto le settimane di festival, diventano particelle di un universo in continuo divenire, che si disgrega e riaggrega fino a diventare un corpo solo. Dopo Lucera e Cagliari, la Cubas arriva a Santarcangelo, festival da sempre nel mirino mediatico: le polemiche non sono mancate, tanto da indurre l’opposizione a indire una manifestazione per boicottare la replica di domenica 8 luglio, per fortuna fallendo a favore di un pubblico numeroso, curioso e partecipe. Tutto questo per qualche corpo nudo, in realtà di scarsissimo interesse pornografico di fronte al movimento della massa alla ricerca di una uniformità collettiva. Il tentativo di creare una società partendo da singole individualità che, dopo lo scontro, cercano l’intesa. 
Il festival si pone così in un dialogo metaforico con la politica, soprattutto locale, e, come già riscontrato nel caso di SUQ a Genova, dimostra la superiorità di visione dei cittadini rispetto a quella dei loro rappresentanti troppo occupati a difendere posizioni aprioristiche senza rendersi conto che il mondo gira. 

Giulia Alonzo

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