18 giugno 2018

Destinazione Bagheria

 
Villa Cattolica e il Museo Renato Guttuso a Bagheria, sede di uno dei “Collateral events” di Manifesta 12, custodiscono dei tesori d’arte imperdibili, tra cui gli scatti di uno straordinario Mimmo Pintacuda

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Uno dei “Collateral events” di Manifesta 12, “Ignazio Moncada. Le rappresentazioni”, mi ha condotto fuori Palermo. Laddove l’antica aristocrazia della capitale del regno di Sicilia aveva le proprie residenze stagionali suburbane. Mi riferisco alla piana di Bagheria e di Santa Flavia a est, e alla piana dei Colli, Mezzo Monreale, Partanna e Sferracavallo a ovest. 
Arrivo a Bagheria e l’insegna stradale mi accoglie chiosando “Comune delle Ville”. Qui di ville ce ne sono davvero molte. Mi fermo alla prima che incontro, in un’incantevole zona circondata dal verde, a fianco di un ecomostro post-industriale di una cava locale: la sobria ma, comunque, opulenta Villa Cattolica. Appartenuta, tra gli altri, alla potente famiglia Bonanno, dal 1820 cominciano le vicissitudini di questa villa: prima impiegata come lazzaretto, quindi come caserma delle truppe borboniche negli anni dello sbarco di Garibaldi in Sicilia. Dal 1973, in seguito a una generosa donazione di opere da parte del concittadino Renato Guttuso (Bagheria, 1912-Roma 1987), il piano nobile è la sede del museo Guttuso. Dagli anni Ottanta l’intero complesso monumentale diviene proprietà comunale. Oltrepassato l’ingresso, mi imbatto nella piccola mostra di Ignazio Moncada. Un compito ben fatto, ma poco entusiasmante. Procedo oltre e sopraggiungo in una sala dominata da una serie di sculture che attraversano il XIX e il XX secolo. Il gusto è classico o neoclassico, come l’ampia “edicola architettonica Bacco-La Sicilia-Pan” (1891) di Mario Rutelli. Eppure, ciò che qui più colpisce, è l’immensa vetrata (in alto) che domina sul lato frontale della stanza. Perché la vetrata è lo schermo di una visione alla “Blade Runner”, tra campi e alture bucoliche e l’inquietante skyline di un ecomostro che proviene da un passato di scellerata ignoranza ambientale. Il risultato è, comunque, affascinante, suggestivo, inducendo a mille riflessioni. Come, anzi meglio di tante opere di Manifesta 12 sparse tra le sedi palermitane. Ancora una volta, anche qui a Bagheria, il contenitore perfora meglio degli artisti convitati alla biennale nomade. Dopo pochi istanti comincio a passare in rassegna il ricco nucleo di opere di Guttuso. Opere di ogni epoca dell’artista, dalle più risalenti alle più recenti, da quelle di formato monumentale fino a una sorta di “cabinet pictures”. Rimango positivamente impressionato. Anzi, passo dopo passo, riesco a colmare alcune mie lacune sulla conoscenza del maestro siciliano, e a coglierne in più tratti un’inattesa modernità. La collezione del Museo comprende anche una selezione di opere di altri artisti, locali e non. Notevole la rappresentanza dei vertici della Scuola di Piazza del Popolo, con tre gemme di Schifano, Festa e Angeli. Seducenti per la qualità toreutica sono, poi, due sculture di grande formato di Augusto Perez e un piccolo, ma folgorante, bronzo di Salvatore Scarpitta. Non manca una rappresentanza di Forma 1 con Antonio Sanfilippo e Carla Accardi. Molto funzionale e sobrio è l’allestimento museale, in perfetto equilibrio con l’architettura della villa. Ma la sorpresa è alla fine. E riguarda la sezione dedicata alla fotografia. Dove scopro un fotografo straordinario, che vale una visita dedicata qui, a Villa Cattolica: Mimmo Pintacuda (Bagheria, 1927-2013). Pintacuda è stato un «creatore di immagini a metà strada tra i fratelli Lumière e Georges Méliès» (come l’ha definito il suo allievo Giuseppe Tornatore). Tra coppole e scialline, sedie impagliate tra strade e case, vecchi e bambini, gli scatti «neorelisti» di Pintacuda sono abbaglianti per la capacità di sintesi, la perfezione formale ottenuta con scarsità di mezzi, l’insuperabile sensibilità nel cogliere la “sicilianitudine” in immagini che divengono epopea. E che dimostrano la transizione di una certa fotografia a opera d’arte alla pari di qualsiasi altro linguaggio. L’immenso patrimonio fotografico, oltre tredicimila immagini tra negativi e positivi, di Mimmo Pintacuda è stato donato al Museo fotografico dei fratelli Alinari di Firenze. Tuttavia, al Museo Renato Guttuso di Bagheria, è possibile ammirarne diversi scatti, a partire dall’ “Estratto di Pomodoro” (Bagheria, 1976) (in homepage) dove la tradizionale salsa locale stesa su tavolate ad asciugare al sole acquista una forza d’impatto che mi ricorda alcune performance di Hermann Nitsch, sospese tra teatro, musica e pittura. Per chi volesse approfondire la conoscenza di Mimmo Pintacuda, all’interno del percorso espositivo, è proiettato un documentario realizzato dal figlio Paolo Pintacuda. (Cesare Biasini Selvaggi)
 

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