29 maggio 2018

Un Arcipelago di Freespace

 
Visita ragionata alla 16esima Biennale d’Architettura, cercando quello spazio di opportunità libero d’immaginare nuovi modi di vivere e costruire le città

di

Shelley McNamara e Yvonne Farrell, le curatrici della sedicesima edizione della Biennale di Architettura di Venezia (71 partecipanti da 63 Paesi ), dopo l’edizione del 2016 diretta da Alejandro Aravana incentrano il tema sull’attitudine sociale del progetto, la sua funzione pubblica, puntano sul desiderio e l’ambizione ottimistica di immaginare, costruire nuovi spazi di libertà, dove l’obiettivo è  fare comunità inclusive, fare popoli più che città, luoghi progettati nel rispetto del paesaggio e della natura. 
Freespace è il titolo tradotto in tutte le lingue di questa convincente Biennale di Farrell (la bionda) e McNamara (la bruna), fondatrici nel 1978 del Grafton Architects, lo studio di Dublino dove lavorano in un elegante palazzo grigio fine Ottocento vicino al Trinity Colage (quello di Beckett e Wilde). Definire cosa, come e quando un’architettura è davvero “libera” non è impresa semplice, poiché si tratta di un ossimoro tra uno spazio con o senza architetture, cose e case e soprattutto popoli, persone, individui che s’incontrano in uno spazio comune. 
Affiancano la mostra di progetti che immagina free space come segno dell’abitare “Meetings on Architecture”, incontri con architetti presenti in Mostra, gruppi di studenti e professori provenienti da più di 100 università del mondo che animeranno il programma Biennale Sessions, progetti speciali e 12 eventi collaterali. E anche quest’anno un padiglione è frutto della collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra.
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Studio Odile DECQ Odile Decq Phantom’s Phantom, 2018 Installation 16. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, FREESPACE foto Italo Rondinella

E nel clima nazionalistico che avanza, mentre si ergono muri e si ripristinano confini tra stati e nazioni, frontiere che limitano la libera circolazione di persone e di cose, dal porto franco di Venezia, da sempre aperta a scambi internazionali, alle Corderie e ai Giardini, si inscena la modalità di come dovremmo vivere lo spazio pubblico per incoraggiare la condivisione nel rispetto delle libertà di comportamenti, e della Terra con la consapevolezza che dobbiamo sentirci “clienti” e non proprietari. 
Lo spazio libero è un paradigma architettico del fare comunità, un cantiere di potenzialità e di condivisione che rispecchia l’utopia di una società fluida, pacifica contro gli sbarramenti, i controlli, le dogane che minano il concetto di libera circolazione delle persone, idee, e merci. 
Le curatrici, anche nell’allestimento hanno valorizzato elementi architettonici insiti nello spazio, ponendo al centro delle loro riflessioni la materia del costruire in rapporto al contesto e paesaggio. Per esempio nel padiglione centrale ai Giardini, sono stati tolti muri e porte, così il percorso espositivo è più fluido e incanta la valorizzazione prospettica della finestra di Carlo Scarpa, che apre il nostro sguardo sul retro di questo gioiello di architettura del Novecento. 
Alle Corderie dell’Arsenale, con le sue imponenti colonne di mattoni rossi in cui i progetti esposti segnano un percorso rettilineo, evidenziato dal nastro misuratore tracciato sul pavimento della struttura architettonica, dalla bellezza eroica e affascinante anche vuota. Ovunque sono allestiti spazi dove sedersi, riposare e osservare cosa succede intorno, dentro e fuori le architetture: panche e sedili per lo più di materiali naturali come legno e pietra, o in metallo per riflettere o commentare con altri lo spazio folgorante dell’Arsenale, delle Gaggiandre sospese sull’acqua, da dove si possono godere scorci lagunari indimenticabili. E qui il messaggio è chiaro: la materia del costruire si basa su operazioni di ricucitura di tessuti urbani esistenti, in cui il rispetto del contesto paesaggistico è un atto dovuto. Freespace riflette il pensiero poetico delle curatrici che hanno valorizzato in maniera esemplare la luce degli spazi dei padiglioni, la gravità o altri elementi architettonici e contesti di verde da tutelare responsabilmente, perché viviamo in un mondo fragile. La loro visione ottimista del mondo come spazio libero diffuso forse deluderà tutti quelli che si aspettavano un maggiore realismo di proposte per un’epoca carica di conflitti e cambiamenti come la nostra, ma loro si dicono ispirate dallo storico – docente alla Columbia University – Kenneth Frampton, Leone d’Oro alla carriera di questa edizione, teorico di  un’architettura umanistica che  mette insieme le persone. 
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GREAT BRITAIN Island 16. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, FREESPACE foto Italo Rondinella

Lo dimostrano alcuni padiglioni meglio di altri, come quello della Gran Bretagna che ha svuotato i sui spazi, nominato la sua struttura “Island”, e affiancando il tutto da una monumentale scala accessibile al pubblico che permette di vedere dall’alto i giardini, premiato con una menzione speciale, concepito all’insegna del godiamoci questo incantevole spettacolo in cui passato e presente narrano una forma non ansiosa di convivenza. 
Nel padiglione centrale ai Giardini, merita il viaggio in laguna la sezione dedicata allo svizzero Peter Zumthor, con i modelli dei suoi progetti realizzati con materiali organici: sono indimenticabili quelli in cera azzurrata incastonati in contesti naturali. 
Quest’anno la Svizzera domina, non soltanto perché la Rolex, storica manifattura degli orologi prestigiosi di fama internazionale sponsorizza la Biennale di Architettura, ma anche per la partecipazione di molti architetti della Scuola di Mendrisio, dove le curatrici anche insegnano, oltre che a Dublino. Numerosi sono i colleghi elvetici invitati, dal fondatore Mario Botta, al direttore Riccardo Blumer, fino a Aurelio Galfetti e Valerio Olgiati, autore delle colonne che chiudono il percorso espositivo alla Corderie dell’Arsenale. 
Non è un caso, infatti, che la giuria abbia assegnato il Leone d’oro per il miglior padiglione nazionale alla Svizzera, intitolato “House Tour” che ha sorpreso per ironia, nel quale ci si sente tutti lillipuziani alle prese con spazi fuori scala, per una riflessione giocosa sul domestico. 
Sono invece sei i Paesi presenti per la prima volta a questa Biennale: Antigua & Barbua, Arabia Saudita, Guatemala, Libano, Pakistan e ha convinto tutti il nuovo padiglione della Santa Sede sull’Isola di San Giorgio Maggiore, alle spalle della reliquia palladiana e della Fondazione con dieci cappelle laiche, incastonate nel verde, tra alberi e cespugli, alcune a filo dell’acqua, che inneggiano alla meditazione, alla riflessione sullo spazio libero dove immaginare mondi e modi di viverlo. 
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SWITZERLAND Svizzera 240 – House Tour 16. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, FREESPACE foto Italo Rondinella

E un esempio di come  ricucire, studiare e valorizzare  le tecniche artigianali e le tradizioni agricole utilizzate nel passato per possibili  applicazioni nel futuro, lo presenta  il padiglione cinese,  nostalgicamente attivo a cura di Li Xiangning, alle Corderie, che affronta il tema della sostenibilità e riscoperta della campagna quale aria di nuove frontiere sperimentali, nel cuore della  sua cultura, dove si sta costruendo troppo velocemente, mostrando l’altra faccia dello sviluppo urbanistico, con la mappatura di aree rurali della grande nazione, attraverso sei episodi: abitazioni  lignee che piacerebbero a Italo Cavino, la produzione locale, le pratiche culturali, il turismo agricolo che sta conquistando anche i giovani, la ricostruzione  della comunità, l’esplorazione futura. 
Tra gli altri padiglioni da esplorare, merita un tour quello del Belgio, spaesante e illuminante che ha meritato il Leone d’Argento, ideato da giovani architetti fiamminghi guidati da Jan de Vylder di Gand, docente a Zurigo.  Concludiamo il percorso espositivo delle Corderie, mandandovi “a quel Paese”, lontano dalle grandi città, alla scoperta della bellezza del nostro paesaggio italiano, come propone il padiglione Italia a cura di Mario Cucinella, alle Tesi delle Vergini, Arsenale. 
L’architetto (tra i primi a sperimentare “architettura partecipata”) propone qui un’architettura a chilometro zero attraverso collettivi multidisciplinari, predisposti all’ascolto e confronto con gli abitanti, che ci invita a riscoprire piccoli borghi, centri minacciati da crisi economiche, terremoti e spopolamento, problematiche complesse che minacciano società e cultura, indagate qui puntando su modalità di rilancio dei territori interni.
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ITALY Arcipelago Italia 16. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, FREESPACE foto Francesco Galli

Ecco “Arcipelago Italia”, il suggestivo titolo dell’intelligente padiglione del nostro Belpaese in cui si apprende una nuova prospettiva di guardare l’Italia che ha radici nel passato nella valorizzazione di territori lontani dalle aree metropolitane con la proposta di cinque progetti ibridi propongono la rinascita dell’Italia: “Off -Cells. Un luogo del lavoro per le Foreste Casentinesi”; “Un dittico per Camerino. Connettere comunità e cultura nell’area del Cratere”, “Laboratorio Basento. Due nodi curativi per Collina materana”; “Coltivare il futuro: Una piazza per la crescita del Belice”; “La casa dei cittadini. Un luogo della cura per la Barbagia”. In particolare è necessario lavorare sul Belice e Gibellina. Il padiglione è diviso in due parti, nella prima sala si trovano grandi pannelli simili a libri aperti, illuminati magistralmente, con otto itinerari per un viaggio alla riscoperta dell’Arcipelago Italia: una sorta di guida della provincia architettonica, dove si trovano i rifugi contro la speculazione edilizia, calamità e incuria. Nella seconda sala si trovano su grandi tavoli di legno dalle forme sinuose, fluide, edifici ibridi progettati in relazione al contesto. Il progetto più interessante è quello – appunto – per la Valle del Belice, devastata dal terremoto nel 1968, la cui ricostruzione è rimasta incompleta nonostante il contributo degli artisti e architetti a Gibellina Nuova. Un appello d’aiuto alla politica, sorda e assente da anni nella necessaria impresa di difesa del nostro paesaggio e la sua architettura attraverso, leggi, concorsi e proposte di valorizzazione territoriale. 
Jacqueline Ceresoli

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