20 maggio 2018

Cannes/7. L’Italia sul podio, con Garrone e Rohrwacher, Palme per Lee e Godard. Ecco i premi

 

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Che questa edizione del Festival di Cannes sarebbe stata caricata di un significato particolare, si sapeva. La questione sexual harrassment ha lasciato un segno indelebile nel mondo del cinema e molti sono stati i #meetoo comparsi in varie forme durante lo svolgimento della manifestazione. Cate Blanchett ha avuto una ennesima consacrazione, anche al di là del set, per le sue opinioni forti ed espresse in maniera impeccabile, come presidente di giuria fieramente super partes ma anche elegante nelle sue assunzioni di responsabilità, ribadite durante la cerimonia di premiazione, durante la quale ha ringraziato i registi assenti per ragioni politiche: il russo Kirill Serebrennikov e l’iraniano Jafar Panahi. Più dura è stata Asia Argento che, nel suo discorso, ha fatto un riferimento molto esplicito: «seduti in mezzo a voi stasera ci sono ancora quelli che devono rispondere delle loro azioni». 
A parte i riferimenti ai fatti di cronaca, le premiazioni si sono svolte in una atmosfera leggera, senza troppe sorprese e l’Italia ha recuperato pienamente la rumorosa assenza dello scorso anno. La Palma come Miglior attore è andata a Marcello Fonte, protagonista di Dogman, il film di Matteo Garrone ispirato ai tragici fatti del “delitto del canaro”. A consegnare il premio è stato Roberto Benigni, un habitué della Croisette, che tempo fa venne contattato da Garrone proprio per il ruolo dato poi a Fonte. Ancora Italia per la Migliore sceneggiatura, la cui Palma è andata, in ex equo, a Nader Saeivar e Jafar Panahi, per 3 Faces, e a una emozionatissima Alice Rohrwacher, per Lazzaro Felice, premiata da Chiara Mastroianni. A chiudere la tripletta italiana, il premio alla Quinzaine des Réalisateurs, dove Troppa Grazia, la commedia di Gianni Zanasi, si era aggiudicata il Label di Europa Cinémas, il premio degli esercenti europei che promuove l’uscita del film nei vari Paesi, grazie al circuito di Europa Cinémas. 
Per la Palma del miglior film, bisogna andare dall’altra parte del mondo. A portarla a casa, Hirokazu Kore-eda, con Un affare di famiglia, un ritratto realistico ma pacato del Giappone contemporaneo, afflitto dalla piaga di una crescente povertà, «ha vinto un film che sa coniugare grazia e profondità, maestria e umanità», ha spiegato Blanchett. Più diretto è stato Spike Lee che, con il suo Blackkklansman, già apprezzatissimo durante la proiezione, ha vinto il Gran Prix du Jury. Il regista che aveva già sfiorato la palma d’oro nel 1989, con Fa la cosa giusta, adesso ha trovato una sua rivincita, con un film dai forti contenuti sociali e politici, con aperti riferimenti a Donald Trump e in cui black e white sono poteri impegnati in una continua lotta per ridefinire i propri confini. Premio per la miglior regia al polacco Pawel Pawlikowski, già premio Oscar nel 2015 con Ida, che qui ha presentato Cold War, dato tra i favoriti. Confermate anche le ottime impressioni destate da Cafarnao, il film della libanese Nadine Labaki, che si è aggiudicata il Premio della Giuria. Non poteva mancare il riconoscimento al maestro Jean-Luc Godard, omaggiato da una Palma d’oro speciale per il suo Le livre du image: «Jean-Luc non ha mai smesso di sfidare il linguaggio del cinema e per questo non gli saremo mai abbastanza grati», ha dichiarato Cate Blanchett.

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