19 maggio 2018

Le via della mente. Christian Fogarolli racconta il suo viaggio sulle tracce di un modello fantasma

 

di

Le vie della mente umana sono indefinite e, in questo caso, attraversano città, sovrappongono tempi e fanno incrociare storie. Nel lungo corso di Phantom Models, Christian Fogarolli ha seguito le tracce lasciate da un modello anatomico, costruito da un anatomista e un ingegnere sul finire dell’800, quando i confini tra le arti e le scienze erano ancora sfumati. Un modello di rete neuronale che venne adottato da diversi istituti medici e scientifici, da Santiago del Cile a Praga, da Torino a Mosca, e che, come spesso accade per questo genere di oggetti, fu poi sostituito da altri esemplari, finendo per essere relegato in qualche deposito oppure disperso. Fino a quando, dal 2015, è diventato l’oggetto della ricerca dell’artista trentino che, in questa indagine, ha trovato il modo di parlare di identità e di rimozione, normalità e devianza, percezione del sé e processi estetici. Adesso Fogarolli è a Filadelfia, al Mütter Museum of The College of Physicians, quinta tappa in questo tortuoso percorso nei meandri degli archivi e del pensiero. 
Nel corso del tuo progetto hai incrociato molti ambiti della conoscenza scientifica, dalla biologia all’anatomia, il cui fascino indiscutibile è riservato, molto spesso, a un pubblico specialistico. L’estetica può formulare un linguaggio adatto per favorirne una divulgazione trasversale? Come hai affrontato tale questione? 
«Nel progetto Phantom Models l’approccio di lavoro si basa sull’utilizzo dell’arte contemporanea come strumento, per riuscire non solo a mostrare dei patrimoni, che spesso appunto sono dedicati e riservati a un pubblico specialistico, ma anche di poterne valorizzare una piccola parte. Il progetto è iniziato nel 2015 e coinvolge circa trenta città in tutto il mondo. Credo sia fondamentale che le istituzioni, gli archivi e i depositi, anche del settore medico, riescano ad aprirsi a un numero ristretto di artisti in modo da avere la possibilità di rivalutare parte dei loro patrimoni con formule nuove». 
Rimozione, perdita, sostituzione, sono termini centrali nella ricerca artistica contemporanea e che ritornano anche in diversi settori delle neuroscienze. Storici dell’arte, scienziati, artisti, medici, psicologi, si esprimono in modi più simili di quanto sembra? 
«Le indagini mutano a seconda del punto di vista di osservazione, dal mio, artistico e non medico, ritrovo spesso modalità di espressione, strade di ricerca e linguaggi che sembrano unire queste diverse discipline, come se ognuna di esse usasse competenze di altre per progredire. Questo credo sia uno dei punti più interessanti. Se le scienze mediche hanno chiesto inconsciamente aiuto all’arte per svilupparsi perché l’arte non lo può fare con la medicina? Forse può benissimo rispondere al tuo quesito proprio uno dei miei testi di riferimento scritto da Jean Martin Charcot “Les Difformes Et Les Malades Dans L’Art”, 1889. Neurologo e professore di patologia anatomica a Parigi possedeva a mio modo di vedere una personalità che riusciva a mescolare tutte queste discipline». 
Sulle tracce di un modello cerebrale di fine Ottocento, sei arrivato a Philadelphia, passando per Amsterdam, Mosca, Torino e Praga. Cosa hai trovato lungo questa strada e cosa a Philadelphia? Dove ti porterà questa ricerca? 
«Il progetto Phantom Models ha lo scopo di ritrovare e valorizzare i modelli cerebrali costruiti da Christoph Theodor Aeby e Fr.Büchi nel 1885, un anatomista e un ingegnere. Entrambi unirono le loro conoscenze al servizio della scienza, ma oserei dire anche dell’arte. Crearono il primo modello al mondo che fosse in grado di rappresentare la rete neuronale e le differenti aree cerebrali divise per colore. Fu un successo e i maggiori istituti medici di tutto il mondo ne vollero acquistare uno per scopi formativi e di studio. 
Oggi queste creazioni, di fondamentale importanza per la storia della medicina, sono in molti casi perdute, dimenticate o in stato precario. Grazie a delle ricerche archivistiche e con l’aiuto di molte personalità del mondo accademico sto ricostruendo la lista di questi istituti che acquistarono questi oggetti straordinari per riportarli alla luce. Il progetto agisce in maniera differente a seconda del caso, per gli istituti che ancora conservano il modello sono previsti studi di approfondimento sulla storia dell’acquisto, sul ruolo e sulla funzione dell’oggetto e di una sua valorizzazione con dei progetti espositivi, delle reti di comunicazione con altri istituti medici e delle pubblicazioni. Nei casi in cui il modello è andato perduto o distrutto, l’ho ricostruito io stesso seguendo le indicazioni della pubblicazione dell’autore del 1884 riproducendone al momento uno in scala 1:1(Mosca) ed uno in scala 1:3(Praga). 
Lavorando all’interno del Mütter Museum e della Historical Medical Library of The College of Physicians of Philadelphia si ha la possibilità visionare del materiale scientifico introvabile e di straordinario valore; emerge l’ennesima conferma di queste sinergie e scambi tra discipline mediche e artistiche. Un semplice esempio, qui sono conservate alcune fotografie di Eadward Muybridge, che arrivò a Philadelphia proprio negli anni in cui il museo acquistò il modello cerebrale da Aeby e Büchi. Lui visse a West Philadelphia dove lavorò al suo progetto Animal Locomotion pubblicato nel 1887 con 781 tavole. In altri casi troviamo fotografi/artisti specializzati prestati alla documentazione medico-scientifica. Questa ricerca sta risultando fondamentale per le indagini sul territorio dell’America del Nord in connessione con altre due importanti istituzioni sulle quali sto lavorando: la Harvard University di Cambridge e la Hopkins University di Baltimora». 
In home: Phantom Brain of Fr.Büchi (detail), from the collections of the Mütter Museum of The College of Physicians of Philadelphia. Photo. Christian Fogarolli 
In alto: Eadward Muybridge, 1885, Patient of Arthur Harper (no. 15805.45b, box 4, Historical Medical Photographs), used with permission of the Historical Medical Library of the College of Physicians of Philadelphia. Photo. Christian Fogarolli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui