26 febbraio 2018

Il Pecci Di Domani

 
PARLA CRISTIANA PERRELLA
Intervista con la neo-direttrice, tra progetti e l’idea di quello che sarà il Centro d’Arte Contemporanea di Prato nel futuro

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L’occasione per questa prima chiacchierata con la nuova direttrice del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, Cristiana Perrella, è in occasione dell’opening della mostra “Mark Wallinger, Mark”, la prima retrospettiva del grande artista inglese (rappresentante del Regno Unito nel 2001 alla Biennale di Venezia, e vincitore nel 2007  del Turner Prize) in un museo italiano.
“Mark Wallinger Mark”, ancora parte del programma del precedente direttore Fabio Cavallucci,  è un percorso tra i temi dell’identità e dei confini, delle relazioni e dei processi economici e sociali di questi primi anni di millennio.
Un momento, anche, per riprendere quel filo che abbiamo iniziato a tracciare su Exibart.Onpaper 99, che vuole indagare l’identità metamorfica che assumono i musei in relazione al proprio tempo, e che negli ultimi anni li ha mostrati completamente ridefiniti nell’approccio e nella necessità di avere “appeal” pubblico.
«Il Pecci è un museo che amo, non solo perché qui nel ’91-’92 ho frequentato il corso per curatori, ma anche perché il mio percorso mi aveva portato, dopo Storia dell’Arte a Roma, alla scuola di specializzazione a Siena. Ho un legame molto forte con la Toscana», attacca Cristiana Perrella.
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Mark Wallinger Mark, vista della mostra, foto Ela Bialkowska di OKNOstudio
Questo è un museo che si potrebbe definire “anziano”: quest’anno compie trent’anni, un record rispetto a molti che hanno aperto dopo e chiuso prima…
«Si ed è il primo museo nato specificatamente per il contemporaneo, ed è interessante come negli stessi anni (Castello di Rivoli nacque nel 1984, n.d.r.) le prime due istituzioni di questo tipo siano state legate a città industriali, Torino e Prato, a scenari non facili».
Come ti rapporti a questa dimensione?
«Con molto interesse. Credo che le dinamiche socio-economiche di questa area diano al Pecci una bella energia. Prato è stata una città che negli anni ha visto molti cambiamenti nel campo del lavoro, poi con la massiccia immigrazione cinese, solo per fare un paio di esempi. Credo che questa condizione sia una possibilità da cui guardare il presente con un altro occhio».
Come ti immagini il museo di arte contemporanea nel futuro? Questa domanda è nata come “inchiesta” qualche tempo fa con la chiacchieratissima nomina di De Finis al MACRO. Credi nell’autodeterminazione dello status di “artista” e ad un museo che possa essere mandato avanti senza fondi, coinvolgendo senza filtri e programma sia pubblico che “addetti ai lavori”?
«Sull’autodeterminazione e sulla mancanza di un progetto non sono per niente d’accordo. Il museo deve essere espressione di una volontà culturale precisa, e anche specchio della città. Sono molto curiosa di vedere come sarà l’esperimento del MACRO, ma l’avrei voluto vedere nascere come parte di un progetto culturale più chiaro, coerente, di ampio respiro, meno casuale. La stessa Amministrazione comunale di Roma, che ha manifestato grande disinteresse per l’attività degli spazi no profit, delle associazioni, che non ha dato segno di voler mettere in piedi nessuna politica a  sostegno dei giovani artisti (studi a prezzo agevolato, intesi anche come luogo di aggregazione e dibattito artistico,  ad esempio) apre il suo museo come spazio della sperimentazione senza filtri. Che vuol dire? Io credo che oggi sia importante il fatto che passi il messaggio che l’arte è una cosa seria. Non è espressione di una creatività diffusa che tutti possiamo avere, è un percorso rigoroso».
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Mark Wallinger Mark, vista della mostra, foto Ela Bialkowska di OKNOstudio
E questo “macro-atteggiamento” è molto pericoloso…
«Io rispetto le competenze, lo studio, il desiderio di approfondire: un artista è tale quando lui stesso in primis ha compiuto un percorso di consapevolezza, e quando ha ricevuto un riconoscimento da un contesto. Il museo è un punto di arrivo non di partenza. Credo che un sistema sano sia quello che permette il giocare dei diversi ruoli nei modi e nei tempi consoni: un giovane artista è chiaro che, prima di passare da un museo, forse avrà altre tappe da compiere».
C’è il rischio che questa mentalità, però, si ripercuota sul futuro dei musei e sulla loro organizzazione, gestione, e anche “espressione”?
«C’è la grande tentazione di confondere apertura, sperimentazione, democratizzazione con il fare progetti low cost che poi così a basso costo non sono. Tornando al MACRO, non è la prima espressione di questo “movimento”: a Palermo ZAC era stato creato con l’idea di aprire uno spazio istituzionale (ma mai utilizzato) come luogo di lavoro e creazione artistica, anche se  qui con una selezione degli artisti, compiuta da parte di un comitato molto allargato. Poi però tutto era caduto sul fatto che la cultura non si fa senza fondi e senza progettazione a lungo termine».
Direi che non ha nemmeno precedenti storici: la cultura ufficiale si è sempre creata grazie al supporto di mecenati di ogni tipo ed estrazione…
«O per volontà politica. Io sono molto contraria a questa mentalità corrente del disinvestimento nella cultura, del “si fa con poco”,perché senza fondi necessari vengono a cadere anche i progetti più interessanti, non riescono ad avere continuità.Il rischio è che questo approccio molto in linea con i tempi e con le politiche di risparmio sia una carta che si provi ancora a tentare e tollerare, ma io penso che invece la cultura oggi più che mai abbia bisogno di essere sostenuta, abbia bisogno di segnali della politica che la indichino come un settore essenziale della nostra società.».
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Mark Wallinger, Sleeper, 2004Projected video installation, silent, 2 hours, 30 minutes, 52 secondsCourtesy the artist and Hauser & Wirth

La tua idea del museo di domani?
«Il museo del futuro deve essere un luogo  riconosciuto da tutti i cittadini,  un luogo di cui si comprende e condivide la funzione, un luogo dove tornare spesso.. Il museo oggi non può limitarsi a proporre solo mostre, ma deve vivere di un’attività quotidiana sul territori, di una quotidiana produzione di cultura.. Deve trovare una chiave di relazione, attraverso l’arte, con i diversi strati della cittadinanza. Il museo – l’arte – è anche un luogo che aiuta a interpretare il mondo in cui viviamo, che stimola e apre le nostre possibilità di riflessione critica. Un ruolo importante, soprattutto in un momento storico in cui dove  l’approccio alla complessità del presente sembra essere molto semplificato. Lo stesso uso della rete, che pareva aprire possibilità infinite di conoscenza, oggi, con la profilazione,  guida sempre di più verso il già noto, rassicura. Se pensi ai tentativi recenti di censurare Balthus o Sierra, per dire, si ridefinisce ancora lo status dell’arte come un campo di libertà dalle convenzioni e in certi casi dalle regole consolidate. I musei, luoghi della cultura molteplice, sono oggi fondamentali».
Come sarà dunque il tuo Pecci?
«Aperto, inclusivo, con un’arte che sia in relazione con le “forze sismiche del presente”: credo che approcciando un tema in modo critico, aperto, se ne possa avere meno timore. Anziché confermare le tensioni comuni del “No, ho paura” vorrei che, almeno al museo, si riuscisse a parlare di grandi questioni, a indagarle. Proprio come fa la mostra di Mark Wallinger, con la quale sono molto felice di aprire il mio percorso al Pecci».
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Mark Wallinger, Passport Control, 19886 C-prints mounted on aluminium, 132 x 101.6 cm / 52 x 40 inches each, 6 parts Photo: © Alex Delfanne Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Hai pensato di riportare qui il Festival “Viva” che avevi ideato per Cosenza?
«una possibilità, perché nasceva proprio per luoghi di grandi tensioni, e qui potrebbe tornare a vivere. E poi Prato ha una grande tradizione legata all’arte performativa, da Ronconi e il Fabbricone, Kinkaleri o Krypton qui vicino, per cui si tratterebbe di lavorare su un terreno già dissodato. Altra chiave su cui lavorare è la rete: creare progetti con altre realtà italiane e non, per condividere intenti e, perché no, per dividere economie. Creare squadra e connessioni è un concetto a cui credo molto».
Un’anticipazione?
«Anche questa è un’altra coincidenza: nel progetto che avevo preparato per il concorso avevo portato un’idea sull’innovazione e la tecnologia, anche come concept di prima mostra, poi Prato è stata nominata una delle città italiane che sperimenteranno il 5G, la banda ultralarga, insieme a L’Aquila, Matera, Bari e Milano. Una dimensione interessante, e un tema su cui vorrei lavorare presto: il modo in cui il digitale ha cambiato il nostro approccio al guardare, all’informarci».
Matteo Bergamini

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