13 febbraio 2018

Sandro Giordano: un mondo in caduta

 

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Nato nel 2013 come pagina instagram, il progetto fotografico IN EXTREMIS  (Bodies with no regret) di Sandro Giordano in arte Remidemmi, dopo  una segnalazione su blog.instagram.com che in pochissimo tempo gli ha dato grande visibilità mediatica, approda il prossimo 8 febbraio nella galleria Interface/Hub a Milano, ultima tappa di un lungo percorso che lo ha visto esporre in Belgio, Olanda, Francia, Germania, Spagna, Stati Uniti, Canada. Parliamo con l’artista di ciò che a tutti gli effetti è un felice caso di marketing art on social media. 
Puoi raccontarci la genesi di questo progetto e l’importanza del social Instagram come volano di visibilità e crescita? 
«Il progetto nasce da una sequenza di cadute, per definizione sempre dolorose e traumatiche… cadute morali, cadute affettive, cadute fisiche. Nell’agosto 2013 mi ritrovo a Barcellona sull’asfalto dopo un volo in bicicletta, con il pugno stretto su una barretta proteica miracolosamente salva (lei, ma non io), il mese dopo vedo un mio amico schiantarsi in mezzo agli scogli per salvare da morte certa il suo nuovo smartphone, ma lui si fa un mese di ospedale. Rientro a Roma e per scherzo un’amica mi chiede di scattarle una foto comica. Non ci penso due volte e la immortalo riversa alla fine di una scalinata con la faccia spiaccicata sui gradini (Se il viso si gira a destra o sinistra c’è un tentativo di mettersi in salvo, ma quando si cade “faccia avanti” allora è puro blackout dell’Io!).  Poi il 12 ottobre 2013 mi sveglio e sento un’esplosione di felicità nello stomaco, chiamo il mio amico Lorenzo Balducci e fantastichiamo un primo set fotografico improvvisato sul mio balcone a Barcellona. La prima foto di IN EXTREMIS è stata pubblicata su instagram il 13 ottobre 2013 e a giugno 2014, visto il flusso crescente di followers,  blog.instagram.com  pubblica un intervista ed alcune foto sul progetto. In 24 ore ho acquisito 23000 nuovi followers e proposte di interviste da Glamourparis, Focus Germania, Stern… Solo nel giugno  2014 sono usciti 350 articoli in tutto il mondo».  
Il tema della caduta accompagna ogni scatto di IN EXTREMIS, una caduta fisica che apre la strada a molteplici interpretazioni. Ce ne vuoi parlare?
«Le mie foto sono racconti di un mondo in caduta. Ogni scatto racconta di personaggi stremati che, come in un black-out improvviso della mente e del corpo, si lasciano schiantare senza alcun tentativo di salvarsi. Impossibilitati dalla stanchezza “della rappresentazione” quotidiana del vivere, oppressi dall’apparire piuttosto che dall’esistere, cadono, toccano il fondo, il limite oltre il quale non si può più spingere il falso sé».
Nelle posture scomposte dei corpi col viso sempre nascosto e nell’universo pop degli scenari ed oggetti di contorno si respira  un’atmosfera  al contempo tragica e comica, un modo per mantenere aperto e labile questo confine?
«Nascondo il volto dei personaggi perché è il corpo a parlare di loro e le cadute sono il punto di non ritorno in cui la rappresentazione del falso sé collassa, nel tentativo disperato di salvare un oggetto trattenuto in mano che simbolizza proprio questa falsificazione. Non solo gli oggetti esprimono questa finzione, ma anche il vestito che indossano, le pettinature, le location! Tutto quello che è visibile nella foto rappresenta la loro finzione, mentre il  corpo frantumato palesa la verità che per esprimersi deve appunto schiantarsi.  Non uso mai manichini o pupazzi nei miei scatti, ma attori professionisti che sono in grado di interpretare con il corpo quello che non è visibile. Perché voglio che sia visibile l’invisibile. Ho sempre amato sin da bambino i film di Charlot e di Stanlio e Ollio perché mi facevano ridere. Spesso nei loro film si vedono personaggi ai quali capitano le cose più tremende, gli incidenti più gravi… le cadute appunto. La prima reazione è di stupore e disagio per l’improvvisa disgrazia capitata al malcapitato di turno, ma dopo qualche istante irrompe una risata liberatrice. Questo è l’effetto che voglio riprodurre raccontare il tragico della nostra condizione con comicità». 
Come nasce una tua foto? 
«Ciò che mi ispira di più è la vita quotidiana, nessun intellettualismo (non piaccio agli intellettuali del settore) sono un fotografo nato dai social e per di più con un progetto sgangherato… niente di peggio! Per me si tratta di uscire per strada e vivere ed assorbire le cose; a volte camminando vedo un punto di una strada, un balcone e decido che quello è il set perfetto, il soggetto nasce dopo; non c’è una regola, tutto va un po’ per caso. Solitamente faccio scatti al luogo dove poi farò la foto e inizio a ricamarci dentro con l’immaginazione: vedo un minimo di storia e situazione e piano piano mi si chiarisce tutto; c’è da dire che tra pre-poduzione, shooting e post-produzione  passano tre settimane in tutto, quindi ci sono sempre due o tre foto in lavorazione contemporaneamente. Aggiungo che, da vero maniaco, mi occupo personalmente del trovarobato e rivolgo sempre un occhio alle geometrie perché sono malato di linee… quando studio la foto vedo solo linee geometriche. Ciò detto ogni foto e stampata in tiratura limitata di massimo dieci pezzi. Alcune gallerie sparse nel mondo si occupano in esclusiva del progetto». 
Perché i soggetti sono quasi esclusivamente femminili?
«Lavoro con le donne perché le donne hanno una marcia in più. Anche nell’arte amo più le donne, soprattutto nel cinema, nella pittura, nella letteratura… mi annoiano un po’ i maschi. Questo mi ha causato vari problemi  poiché, essendo IN EXREMIS anche un progetto di denuncia sociale e politica, spesso il taglio delle mie foto mi è valso censure e accuse di misoginia e sessismo. Niente di più lontano dal mio intento che quello di denunciare l’elefantismo dell’Io a cui questa società ci induce e nella quale le donne sono costrette a sostenere il peso maggiore». 
Futuro ed evoluzione del progetto?
«Essendo un progetto di pancia non so rispondere a questa domanda. Posso dire che mai avrei immaginato di declinare IN EXTREMIS in “In Interiors – style with no regret” (una variante del mio progetto originale dove racconto le storie di dieci donne dell’alta borghesia ed il rapporto morboso e patologico che hanno con i mobili di design che possiedono), eppure è successo. Ho imparato ad evitare il più possibile di ragionare su contenuti e sviluppi, perché più lo faccio più il progetto diventa insignificante; se lavoro troppo a tavolino le foto mancano l’obiettivo e il lavoro resta a metà. E’ comunque sempre la chiave del comico ciò che fa detonare l’idea: un segno della realtà che mi viene voglia di esasperare  in modo parossistico. Un po’ come nei vecchi film comici appunto. Rispetto all’evoluzione generale oggi che sto per iniziare la quinta stagione devo dire che lo penso come se fosse una serie  di cortometraggi statici (fotografie); essendo io amante del cinema mi piace concepire queste foto come se fossero piccole storie, cortometraggi racchiusi in un unico shooting con tiratura d’autore di massimo 10 pezzi». (Lorenzo Mori)  

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