17 novembre 2017

Arcimboldo, bizzarro ed erudito

 
Manierista lontano dalla stagione del Cinquecento, a Roma si indaga la cifra stilistica del pittore divenuto celebre per i suoi assemblaggi. Che sfidò le regole del Rinascimento

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Bizzarro, curioso, erudito e fantasioso: è un Cinquecento meno conosciuto ma non meno sorprendente quello in mostra a Palazzo Barberini fino all’11 febbraio 2018. Il racconto di una storia diversa, il cui protagonista è uno degli artisti più originali, Giuseppe Arcimboldi, comunemente noto come Arcimboldo
Con questa esposizione, curata da Sylvia Ferino Pagden, una delle maggiori esperte del pittore milanese, le Gallerie Nazionali di Arte Antica Barberini Corsini offrono un’occasione preziosa per approfondire la conoscenza di un artista con pochissime opere conservate in Italia. 
Arcimboldo fa parte a pieno titolo della grande stagione Manierista, ma ne rappresenta un aspetto diverso: è lontano artisticamente sia da quello romano-toscano che da quello veneziano. E rimane estraneo, ovviamente, anche all’arte rigida e didascalica della controriforma che pure è un fenomeno che, almeno cronologicamente, lo investe in pieno. Si tratta di un pittore formatosi e vissuto a Milano con un respiro però cosmopolita: ben presto entra nell’orbita delle corti asburgiche, divenendo protagonista delle scene artistiche di grandi centri mitteleuropei come Vienna e Praga. 
I “capricci”, gli assemblaggi antropomorfici di oggetti vari, spesso frutta e verdura, ma anche animali, libri ed altri oggetti, sono la sua espressione più riconoscibile: la mostra ricostruisce il clima intellettuale in cui si forma e racconta i vari stadi creativi successivi che lo portano a sviluppare questa sua particolare e personalissima cifra stilistica, ma non solo. 
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Arcimboldo, vista della mostra, Palazzo Barberini
Nasce a Milano, nel 1526: due elementi importanti perché delineano il contesto culturale, dove ebbe la sua formazione. Un habitat indagato nelle prime sale dell’esposizione per spiegare al visitatore la vivacità che lo caratterizza, imprinting decisivo per la carriera dell’Arcimboldo. Il seme da cui nascono questi frutti è Leonardo Da Vinci, la sua presenza al servizio degli Sforza, ad inizio secolo, influenza in maniera predominante le generazioni successive di artisti meneghini, come ad esempio Biagio Arcimboldi, nella cui bottega muove i primi passi suo figlio Giuseppe: la passione per la scienza, per l’osservazione, e se vogliamo anche quella più prettamente pittorica del chiaroscuro, ma anche il senso dell’ironia espressa attraverso la caricatura sono tutti elementi segnanti nella carriera di Arcimboldo, ma non bastano da soli a spiegare la sua parabola artistica. 
Quello che noi chiamiamo per comodità Manierismo, che altro non è che una reazione contro la “regola” dell’arte rinascimentale, ha tra le sue varie declinazioni una ricerca di maggior leggerezza, oltre che di licenziosità: viene sdoganato l’interesse per la natura non più intesa solo per le sue implicazioni filosofiche ma anche per quello che semplicemente è, un oggetto: iniziano quindi i quadri cosiddetti di natura morta ed è un genere da cui Arcimboldo trae ispirazione. Per inciso, sarà sempre un pittore milanese, della generazione appena successiva, a consacrare, a Roma per di più, questo tipo di soggetto: Caravaggio. 
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Arcimboldo, vista della mostra, Palazzo Barberini
La prima parte mostra racconta questo ambiente milanese attraverso le tele di pittori come Cesare da Sesto e Martino Piazza da Lodi, con le loro Madonne di ispirazione leonardesca, e con una rassegna di oggetti preziosi come monete, coppe e armature che caratterizzano il fiorente artigianato locale che incontrando il gusto delle corti d’oltralpe, in particolar modo gli Asburgo. In questo contesto Arcimboldo vive e lavora; significative del suo eclettismo sono le opere esposte nella seconda sala, con le vetrate del Duomo, raffiguranti le storie di Santa Caterina, e l’arazzo della cattedrale di Como con la Dormitio Virginis per il quale eseguì i cartoni preparatori: utili a comprendere altri aspetti, probabilmente meno noti della sua produzione artistica. È esposto anche un autoritratto di Giovanni Paolo Lomazzo: al suo circolo intellettuale, caratterizzato da una particolare ricerca sull’espressione umana e sulla natura, anche nei suoi aspetti più bizzarri, Arcimboldo fu molto legato; nacquero in questo ambito i primi “capricci”. 
La parte centrale dell’esposizione ricostruisce invece quello che è l’aspetto cosmopolita di quest’artista, a partire dal 1562 quando si trasferisce a Vienna su richiesta dello stesso imperatore Massimiliano II, divenendo pittore di corte. 
Le sale espositive rendono perfettamente l’idea di quel che il suo incarico ufficiale gli imponeva. Da una parte la serie di ritratti ufficiali della famiglia imperiale, attribuiti ad Arcimboldo con buona certezza, dall’altra la sua continua ricerca sulla natura e il suo linguaggio. Straordinarie sono le serie esposte delle quattro stagioni e dei quattro elementi: nel Fuoco, oltre alla sua abilità nello studiare la forma umana e nel creare queste teste, è ravvisabile anche l’imprinting pittorico lombardo, con le continue sperimentazioni sugli effetti della luce e dell’ombra (anche qui, riprese e sviluppate poi dal corregionale Caravaggio). 
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Arcimboldo, vista della mostra, Palazzo Barberini
Le scoperte geografiche del Cinquecento alimentano le fantasie della corte, dove si sviluppa una passione per le meraviglie, anche mostruose, provenienti dalle nuove terre: piante, animali, oggetti. Tutto è indagato minuziosamente e tutto contribuisce a stimolare l’incessante attività di studio di Arcimboldo che, con la morte di Massimiliano d’Asburgo, si trasferisce a Praga, nuova capitale scelta da Rodolfo II. 
Le ultime sezioni sono incentrate proprio sugli studi naturalistici e le wunderkammer, dove le protagoniste rimangono le teste composte, che furono d’ispirazione anche per altri artisti, anche in funzione ironica e satirica contro la rigidità delle immagini imposte dalla chiesa dopo il Concilio di Trento. 
La mostra, prima monografica su Arcimboldo allestita a Roma, contribuisce a confermare la qualità di quest’artista che è certamente bizzarro, licenzioso e fantasioso, ma è soprattutto un grande pittore trovò il proprio personalissimo linguaggio utilizzando come alfabeto la natura stessa, scrivendo con essa una pagina importante della storia dell’arte. 
Luca Liberatoscioli

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