17 ottobre 2017

Essere Luca Vitone

 
Una Milano in gran spolvero festeggia i primi trent'anni di carriera dell'artista, regalandogli un'antologica coi fiocchi. In cui tutti siamo lui, nessuno escluso

di

Scusi Vitone, ma con trent’anni di carriera alle spalle ed un’antologica dedicata si sente “arrivato”? «Si è arrivati il giorno che non ci se ne accorge. Quindi no». Criptico, ma soprattutto conciso come un vero genovese, il signor Vitone in questione all’anagrafe è Luca Vitone (Genova, 1964) ed arriva fresco di presentazione della sua prima antologica, “Io, Luca Vitone” (fino al 3 dicembre). Un uomo che ha barattato Lanterna con Madonnina, abbandonando la natia Genova – più che altro perché «Nella vita bisogna cambiare, fare esperienze nuove» dice lui, ma «Ci torno sempre volentieri, mi piace il pesto ed ho tanti amici lì» – per cercare la propria maturità artistica. A Milano l’ha trovata, ritagliandosi oggi uno spazio a misura tra gli artisti italiani più quotati sulla piazza internazionale. E pur se in tempi recenti l’ha tradita con Berlino, la mamma – anche se adottiva – resta sempre la mamma, ed è disposta a dedicargli non una, ma ben tre sedi (PAC, Chiostri di Sant’Eustorgio e Museo del Novecento).
Il PAC consegna a Vitone il timone dell’annuale Giornata del Contemporaneo, col conservatore in carica Diego Sileo (curatore della mostra assieme a Luca Lo Pinto) a motivare la scelta (e replicare alla domanda martellante “perché Vitone?”) incensando l’artista come «Quello che, tra tanti, è riuscito a far incontrare tutte le tematiche che il PAC riunisce in un anno». Più diretto sui criteri d’approccio tra l’opera vitoniana ed il “pacchetto mostra” è Lo Pinto, che parla di «Selezione di opere non necessariamente rappresentative» operata “nella volontà di non creare un dispositivo passivo”, definendo quindi questa antologica «Un’anti-logica», benché «Alla fine sia molto logica nel suo sviluppo». 
null
Luca Vitone – Io, Luca Vitone – installation view – photo Andrea Rossetti
Passano i minuti, e con loro una serie di interventi che per contarli tutti non basta una mano. In platea la fame di Vitone cresce. Ed eccolo, last but not least, tocca a lui. Cui basta un tempo risicato e poche battute dal lungo tavolo del cerimoniale per rivelare il carisma dell’artista che, forse con un temperamento anche più milanese che genovese, può spuntarla sull’eccesso. Immaginate una scena strutturata all’incirca così: interviene Giovanni Iovine (terza mano curatoriale e attivo specificamente per i Chiostri di Sant’Eustorgio), che intavola un intelligente parallelo a base “autoritratto nascosto”, tra il Vitone di Nulla da dire solo da essere e l’Andrea Mantegna della Camera degli sposi. E poco dopo, atteso diligentemente il proprio turno, Vitone per tutta risposta si autodefinisce tranquillamente «Collega» del maestro veneto. Un «Collega solo con cinquecento anni di differenza», mica bazzecole. 
Ma adesso giustamente vi chiederete: Perché? Cosa hanno in comune Mantegna – o Vincenzo Foppa, con cui Vitone si presenta spalla a spalla proprio in Sant’Eustorgio – e Luca Vitone? Sono tutti artisti visivi, benché il più contemporaneo dei tre si professi «Prevalentemente scultore, più che pittore». E con l’occasione quasi sembra togliersi il classico sassolino dalla scarpa riferendosi ad operazioni come Per l’eternità, la sua firma alla Biennale di Venezia 2013, precisando che «L’odore è una scultura, un oggetto scultoreo». Se a suo tempo vi siete persi quell’istant classic della poetica vitoniana quest’antologica non potrà metterci nessuna pezza; come ci racconta l’artista «è un lavoro che ha già girato abbastanza, ho preferito dar spazio a qualcosa dello stesso genere, ma meno noto». Qualcosa dal nome di Imperium, concentrato d’un pervasivo odore dolciastro (s’immagina quello del potere) che non fa rimpiangere i trascorsi veneziani, e tra l’altro fa da ponte a tutto un discorso sullo spazio del PAC. Più nel particolare sul rispetto delle sue volumetrie, per un Vitone che simpaticamente si dichiara «Molto contento di arredare la pancia di Gardella», raccontando di aver «Lavorato l’oggetto architettonico senza toccarlo», ed alla fine quasi dispiaciuto d’aver fatto uno strappo alla regola proprio con Imperium, chiuso – per ovvie ragioni di praticità olfattiva – in una stanza-scatola che in realtà non esiste. Un ambiente creato ad hoc, unica eccezione all’architettura fatta e finita com’è dal 1953. 
null
Luca Vitone – Io, Luca Vitone – installation view – photo Andrea Rossetti
Se si vuole infatti “Io, Luca Vitone” è pure una sfida tra l’artista e lo spazio, dove il primo ha risposto al secondo in maniera molto netta, a misura, creando apposta per l’evento una planimetria scala 1:1 interamente incollata al pavimento; un tappeto di pellicola bianca piena di bolle d’aria scricchiolanti al passaggio, carico di linee e numeri. Riprende «La prima opera della prima personale di Luca» racconta Lo Pinto, «Un’operazione creata nel lontano 1988 per la galleria Pinta di Genova» continua il curatore, aggiungendo «Ci piaceva pensarla come un loop, dove l’opera iniziale è anche l’ultima». A primo impatto Padiglione d’arte contemporanea – questo è il nome ufficiale del site specific – sembra una tautologia in termini, uno di quei vezzi su cui l’arte contemporanea fa giocoforza. Almeno fin quando Vitone non sviscera il significato della sua azione “duplicatrice”, basata sulla coscienza che tutti noi «Non viviamo un mondo reale, ma una sua convenzione». Lasciando a bocca aperta quanto basta.
Dal pavimento la cura-Vitone si sposta al trattamento delle pareti, ricoperte con la polvere raccolta in due anni di passaggi. Operazione che oltre ad incrociarsi logicamente coi quattro giganteschi acquerelli a base polvere della serie Imperium (Raüme), evidenzia una forte prerogativa dell’espressività vitoniana: la condivisione dell’opera, la collaborazione/inclusione di “autori esterni” nella sua genesi (non per nulla Lo Pinto racconta «in principio s’era pensato d’intitolare questa mostra “Noi, Luca Vitone”»), quel reciproco “da me a voi” a sua volta specchio-riflesso di una poetica incentrata sulla propensione naturale al racconto. Vitone è story teller di spessore, trasversalmente politico – ma «sono un artista, non sono un militante, non faccio politica» specifica – e immensamente sociale; forse è proprio questa sua innata socialità a far si che le sue narrazioni – quelle che l’art system determina come opere d’arte – scaturiscano da una sorta di “autonomia comune e condivisa” messa in pratica avvalendosi direttamente dell’azione indiretta di tanti suoi simili, nel caso proprio del site specific Stanze (PAC Milano) tutti quelli che hanno prodotto sporco e polvere necessari alla sua creazione. I medesimi che con lui hanno condiviso una delle pagine più aleatorie della storia italiana, raccontata con Souvenir d’Italie (Fondamenti della Seconda Repubblica) nell’enorme lista di iscritti alla loggia massonica P2, o tante altre vicissitudini del Belpaese. In pratica una sintomatologia poetica che si espande a macchia d’olio.
null
Luca Vitone – Io, Luca Vitone – installation view – photo Andrea Rossetti
Spulciando tra trent’anni di carriera alla fine è come non esistesse più alcuna distinzione tra personale e pubblico; come se la Peugeot 204 break in avaria di Ultimo viaggio, a cofano aperto e fumante, coi bolli scaduti ancora attaccati al parabrezza e oggetti vari sparsi nell’abitacolo potesse essere un totem dei tempi che furono, un epopea di elementi che attraverso il loro congeniale personalismo aprono una parentesi sui cambiamenti avvenuti in Iran dal 1974 (anno del viaggio della famiglia Vitone) ad oggi. Sicché Ultimo viaggio – per inciso, a detta di Sileo «Il cuore della mostra» – risulta esemplare della possibilità (concessa dall’artista al singolo fruitore) di entrare nella storia passando dalla corsia preferenziale di un vissuto privato prima sconosciuto, di essere parte dell’opera, di sentirsi Vitone. E in questo senso modificare continuamente attraverso le proprie impronte la distesa di sabbia su cui l’installazione obbliga a camminare è un gesto emblematico. Bisogna prenderne atto, il mutuo scambio tra personale e collettivo assunto dalla poetica vitoniana è un circolo vizioso da cui è difficile uscire, un po’ come se quel loop chiamato precedentemente in causa da Lo Pinto ritornasse in ogni dove. 
Il pensiero di Vitone segue una propria circolarità, prende e scambia spunti che usa e riusa a mo di corsi e ricorsi storici. Per capirlo bisogna abbandonare il PAC, assaporare un po’ della Milano cool e caotica di Porta Ticinese, ed approdare in quel porto franco che in zona sono i Chiostri di Sant’Eustorgio. Lì dove aspetta un’opera silente, sintetica e visivamente innocua, ma la cui apparenza è inversamente proporzionale alla complessità critica. Giusto per farvi un’idea, si potrebbe considerarla un excursus sull’intera (o quasi) opera di Vitone. Otto piccole tele che tendono a camuffarsi sulla parete in laterizio rosso, dal titolo che è più lungo e difficile da memorizzare di una poesia di Ungaretti: Viva! (Brut a 8°, Sant’Amato a 13°, Mandorlo a 11°, Chianti a 18°, Moro a 18°, Dicatum a 18°, Salamartano a 18°, Vin Santo a 16°). È bingo pieno, otto varietà di vitigni utilizzate come pigmento ritrovano il gusto per la pittura de-pigmentata delle fatidiche polveri; e un gusto vero, o meglio un sistema olfattivo che diventa inconfondibile avvicinando bene il naso (il tono marsalato del Vin Santo ad esempio è inconfondibile) a ciascuna tela, cui si aggiunge la passione di Vitone per un ritratto “sotterfugio”, aggirato rappresentando indistintamente una terra (la Toscana) e il produttore di quei vini partendo dalle sue materie prime. Quindi, a giusto completamento, anche una storia ed una geografia dei luoghi, un senso di provenienza che sempre nella stessa sede sviluppa in audio, coi racconti degli emigrati nell’audio Futuro ritorno; o nei nomi scritti assieme a Cesare Viel in Nel nome del padre, più che una pergamena un sottile pilastro eretto sui metri e metri di nomi – rigorosamente in corsivo autografo – sovrapposti come fondamenta culturali dei due artisti.
null
Luca Vitone – Io, Luca Vitone – installation view – photo Andrea Rossetti
Next stop Museo del Novecento, dove l’opera è unica e caratterizzata da un allestimento senza pecche. Wide city, anno 1998, è ancora una volta un ritratto alla larga, un’identità tracciata come solo la mano di Vitone può; Wide city equivale a dire “Milano” rispondendo con uno dei suoi elementi architettonici più controversi, quella Torre Velasca che è nell’omonima piazza dal 1957 per grazia dello Studio BBPR. Equivale a prendere l’iconico grattacielo e farne un paradigma, un simbolo usato in quanto tale trasformandolo nel distributore della “mappa delle presenze straniere a Milano”. Equivale a fare tutto ciò nel contesto storico della fine degli anni Novanta, di una città plasmata dalle sue sottoculture, una realtà urbana che come molte altre in Italia guardava di sottecchi la diversità di genere e spesso fingeva di non capire il significato delle parole “interrazziale” e “interculturale”. Un format artistico sempre attuale in quanto passibile di costante aggiornamento, un misto tra ricognizione territoriale e iconografie milanesi che ritornano ossessivamente nella scia di scatti 10×15 che riempie lo spazio a parete. Disordinatamente, come il fiorire delle nazionalità, delle attività d’ogni genere e degli scaffali colmi di etichette incomprensibili per noi italiani, tra cocchi e platani, vetrine dai colori accesi, verdure al curry e pollo korma. Tra le insegne cinesi di un oriente che finisce dove le auto sono targate MI. O che fa da pretesto per iniziare qualcosa di nuovo, anche a distanza di quasi vent’anni, ché la speranza è sempre l’ultima a morire.
Andrea Rossetti
Sabato 21 ottobre 2017, dalle 17.00 alle 18.30 al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, Diego Sileo accompagnerà in una visita guidata alla mostra “Io, Luca Vitone”. Vi basterà mandare entro le 12.30 di venerdì 20 ottobre, una mail a contest@exibart.com per vincere uno dei 10 biglietti in palio, validi per due persone, con cui ciascun partecipante potrà entrare a un prezzo ridotto.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui