16 ottobre 2017

Una biennale a Tehran

 
Che ci fa la scultura in Paese che mostra muscoli tecnologici? Sfiora un ritorno al presente, alle origini di una città e di un'identità che continua ad affascinare

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Fu Farah Diba a volere nel centro di Tehran un grande museo d’arte contemporanea, un edificio ispirato al Guggenheim di Frank Lloyd Wright, dove oggi peraltro si conserva la sua splendida collezione d’arte europea del ‘900 (da Bacon a Rothko, da Calder a Warhol). 
E qui, in questo Museo circondato da un ampio parco dove puoi passeggiare tra opere di Giacometti, Brancusi e Moore (tra gli altri), fino al 26 Ottobre ha luogo la settima edizione della Biennale di Scultura, con 78 artisti in gara per il gran prize e 18 artisti invitati. Ma i meri numeri non danno certo l’idea dell’impegno organizzativo sostenuto dal gruppo di lavoro e dal direttore della Biennale, lo scultore Kourosh Golnari, che sono riusciti a produrre una mostra importante perché davvero significativa dello stato dell’arte in Iran. Visitatissima, da giovani e giovanissimi, con un’enorme presenza femminile, questa grande esposizione si avvale delle efficienti strutture museali che Ali Mohammad Zare, direttore del Tehran Museum of Contempory Art, ha messo a disposizione della Biennale, intervenuta con opere di grande dimensione anche nel landscape circostante. 
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Peyman Shafieizadeh, Epidemic
Giardino e Museo, una bella connessione con un intermezzo delizioso, un caffè iraniano-occidentale immerso nella luce, dove si ascolta Jazz, si mangiano dolci da capogiro e si leggono libri e cataloghi d’arte come in una piccola biblioteca a scaffale aperto. Così, in questa megalopoli di 14 milioni di abitanti, dove cellulari e computer appaiono con tale frequenza e in modo talmente plateale anche in televisione e in pubblicità, da far comprendere quanto il Governo sia occupato nello sviluppo tecnologico del Paese, in questa città dove il traffico sterminato e folle segna 24 ore su 24 il ritmo vitale dei suoi abitanti, installazioni, sculture, parole che divengono opera, attirano la curiosità e il desiderio di sapere degli iraniani. Una curiosità incoraggiata sempre più dalle numerose gallerie d’arte contemporanea che soprattutto in Tehran implementano consistenti collezioni, alimentatrici del fiorente mercato dell’arte. Dicevo poc’anzi delle parole che diventano opera; sì, perché la calligrafia, che ha connotato con le sue stupefacenti linee l’arte persiana (se volete assistere all’epifania della bellezza del segno, visitate la Malek National Library and Museum), continua ad affascinare l’arte iraniana delle ultime generazioni di artisti, in una preziosa connessione di identità e attualità, di Oriente e Occidente. Basti vedere l’installazione di Barbed Golshiri, From curriculum mortis. Tarata sugli spazi di una grande sala illuminata da luci fioche, quasi un sito archeologico, si avvale di diversi materiali, dalla terra al legno alla pietra, e medita sul lavoro del Tempo e sulla distruzione dell’Arte, avvalendosi di diverse postazioni e d’inscrizioni farsi eseguite su “pagine” di terra, a pavimento. Ancora una riflessione sull’Arte, questa volta legata alle distruzioni talebane, viene dal lavoro, preciso come i proiettili infissi nel suo marmo, di Milad Nabizdeh, che scolpisce una figura aggredita dall’ignoranza e dalla violenza umane, una scultura cui fanno da controcanto e accompagnamento celebrazioni della vita e dell’energia critica, come la poetica, piccola opera in bronzo raffigurante due uccellini in uno, di Esmaeil Sahandian, o il “monumento” all’uomo bendato, di Payam Mofidi, che con una manovella si può far ruotare a piacimento (un vero divertimento anche per i bambini, frequenti in mostra). 
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Barbed Golshiri, From curriculum mortis
E a proposito di fiabe, che l’Iran del resto coltiva pienamente ancor oggi, grazie alla mai sopita vocazione poetica e alla storia passata e presente della sua videoanimazione (penso all’incantevole lavoro di Mahin Javaherian dedicato al “Matrimonio di Hagar”), rammento il tavolo di Nasrin Shapouri Azar, che si espande brulicante di figure fantastiche, multiformi, lievi come i bei sogni. Fibre di vetro, bronzo, papier mache, resina, stracci, legno, plastica, terra, luce, la quantità e la qualità dei materiali adoperati raccontano come sempre i mutamenti delle tecniche dell’arte, la deperibilità o la durevolezza di ciò che viene adoperato per darle corpo. Il passato e il presente con frequenza si uniscono in questa Biennale della Scultura, anche per soffermarsi su pressanti necessità: la problematica ecologica, in una Tehran lanciata da tempo verso la distruzione del suo patrimonio arboreo, o la necessità di conservare i propri beni culturali, affermata dall’installazione di Peyman Shafieizadeh, che costruisce un Archivio, di cartoni per tappeti in seta provenienti da Qom, cose dimenticate e tralasciate dai più, appartenenti ad una pratica di tessitura che adoperava, fino al 1991, un particolare punto tradizionale.

Eleonora Frattarolo

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