29 settembre 2017

A bigger Hockney

 
Il grande pittore inglese è in scena al Pompidou, in una mostra destinata a fare record. Come l'artista del resto, in un volo a 360 gradi tra immagini, tecnologia e società

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Love Life, due parole dipinte di blu verso l’uscita, riepilogano la fantasmagoria di questa mostra che celebra colore e luce, e una variegata ricerca tecnica e prospettica, in un susseguirsi di immagini fisse e in movimento che vivificano i sensi dello spettatore. Stiamo parlando di David Hockney, nella memorabile retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi, al quale il pittore ha anche donato un grande dipinto.
Pittore, disegnatore, incisore, scenografo, fotografo, dandy a tempo pieno, David Hockney, classe 1937, è uno dei più grandi artisti del nostro tempo. Il Pompidou, in collaborazione con la Tate Britain di Londra e il Metropolitan Museum New York, celebra gli ottant’anni dell’artista britannico con una mostra che comprende una settantina di quadri tra i più noti di Hockney, dalle mitiche piscine ai doppi ritratti, ai paesaggi monumentali, ed un centinaio di documenti tra incisioni, fotografie, video, disegni.
Ma tutto ha un inizio anche per il grande Hockney. Siamo nel 1960 quando scopre alla Tate Gallery di Londra l’incredibile padronanza di stili e tecniche e l’immensa libertà e creatività di Picasso. Un incontro fatale che lo propulserà tra sperimentazioni e indagini nel campo tecnico e figurativo, fino ad avvalersi della tecnologia (prima con la fotografia, poi con fax, computer, stampanti anche del più recente iPad) visto che per l’artista “la creazione è un atto di condivisione”.
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David Hockney Self Portrait 1954 Collage

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papier journal © David Hockney photo Richard Schmidt

A Parigi il percorso si disloca in ordine cronologico lungo 14 sezioni, tra queste Demostration of Versality, in cui troviamo Play within a play (1963), opera che s’ispira a Apollo uccide i due ciclopi (1616-1618, National Gallery, Londra) del Domenichino (1581- 1641). Si tratta del ritratto del mercante d’arte John Kasmin, alias Kas, che Hockney ritrae intrappolandolo in uno spazio esiguo «Tra l’arte e la vita”, come afferma l’artista stesso. In questo periodo elabora infatti una serie di opere che giocano sull’idea di superficie e di pittura come confine. Qui Kas, amico e gallerista dell’artista, viene ritratto, in piedi e con le mani e il viso schiacciati su una lastra di plexiglas, all’esterno di un arazzo moderno così come il Domenichino pone, all’esterno della scena mitologica, una figura lillipuziana.
“(…) Decisi di abbandonare il mio posto dietro la finestra, lontano dalla vita, e tuffarmi nel suo corso gorgogliante”. Da Città di notte di John Rechy, scrittore statunitense, è fonte d’ispirazione per Hockney, che evoca il titolo nella sezione dedicata alla California, insieme alla rivista erotica gay Physique Pictorial. Quest’ultima, posata accanto al romanzo di Rechy in una piccola teca, presenta alcuni nudi maschili dimostrando altresì come in quegli anni non si era autorizzati a mostrare frontalmente la nudità completa maschile, censura che rimanda a tele come Man in Show in Beverly Hills (1964) o Domestic Scene: Los Angeles (1963). In questa sezione dedicata all’edonistico Stato americano troviamo l’eccezionale A Bigger Splash (1967), in cui un imprevedibile spruzzo d’acqua crea scompiglio nel rigore geometrico di una villa immersa in un paesaggio solare; un acrilico contornato da bordi bianchi a mo’ di polaroid, un formato adottato poi da Hockney. Ricordiamo che questa opera iconica ha dato il titolo al controverso film biografico su Hockney di Jack Hazan (Manchester, 1949), proposto nell’ambito della mostra, che di fatto si concentra più su Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), noto acrilico del 1972, che raffigura l’artista Peter Schlesinger compagno di Hockney; la pellicola di Hazan narra della rottura della coppia. Circondati dal blu incontaminato del cielo restituito dalla tecnica del rullo, e dalla raffigurazione mai uguale del movimento dell’acqua nelle piscine, questa sezione ci parla dell’incredibile e accurata ricerca degli effetti di luce sulle trasparenze. Ci lasciamo alle spalle il sole californiano accompagnati da parole tratte da Città di notte: “In nessun’altra parte del mondo (…) il cielo è così chiaro, così blu, così profondo (…) di un azzurro inteso (…) magico, elettrico.”
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David Hockney Domestic Scene Los Angeles 1963 Huile

sur toile © David Hockney

L’artista inglese ama ritrarre amici e familiari in magnifici disegni a matita o nei noti doppi ritratti, in cui si avvale della fotografia nella loro elaborazione. Si tratta spesso di figure intere, in piedi o dolcemente allungate, in salotti o in ambienti luminosi, circondati da libri d’arte o da riproduzioni di opere classiche. Tra questi Mr. and Mrs. Clark and Percy (1970-1971), due suoi cari amici, ovvero Celia, suo marito e Ossie, il loro gatto. I due guardano verso lo spettatore, non vicini ma separati da una luminosa portafinestra, verso la quale invece è girata Percy, il cui manto bianco dialoga con il bianco dei gigli posti su un tavolino. I fiori annunciano che Celia è incita, rimandando all’iconografia cristiana in cui il giglio bianco è simbolo della Madonna, che riceve la notizia dall’arcangelo Gabriele nella raffigurazione dell’Annunciazione. Infine, dietro Celia, appeso alla parete Meeting the Good People (Washington) di Hockney. Quest’opera è parte della serie A Rake’s Progress (1961-1963), che comprende sedici incisioni, qui proposte, che si ispirano alle omonime stampe di William Hogarth (1697-1764) del 1735. Hockney non illustra qui un racconto morale ma affronta il tema della perdita di individualità nella società dei consumi.
Bella la sezione dedicata alla prospettiva inversa restituita dal paesaggio di Canyon Painting (1978) o di Nichols Canyon (1980), che ricordando Matisse inneggiano alla diversità e alla bellezza della natura, coinvolgendo lo spettatore in giochi caleidoscopici. 
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David Hockney, I’m in the Mood for Love 1961 Huile

sur toile ©Royal college of Art London photo Prudence Cuming Associates

Nei primi anni ’80 Hockney cominciò a produrre i “joiners”. Si tratta di puzzle realizzati con foto Polaroid, che ritraggono amici come Kas o la coppia Wilder, in cui vuole oltrepassare i limiti della singola foto. Dalla Polaroid Hockney passa poi alla Pentax 110 reflex e ad una Nikon 35 mm per realizzare incredibili collage fotografici. Emblematico di questa tecnica multifocale, tra giochi di vicinanze e profondità, è Pearblossom Highway, 11-18th, April 1986, #1. Si tratta di un lavoro per il quale Hockney ha scattato in 10 giorni oltre 800 fotografie di una strada sita nel deserto alla periferia di Los Angeles; solo per realizzare il cielo ne ha usate poi oltre 200. Non c’è da stupirsi se si pensa che già nel 1997 Hockney aveva accumulato oltre trentamila foto, perché c’è da dire che inizialmente l’artista usava la macchina a mo’ di taccuino.
Una parte della mostra è dedicata alle creazioni digitali, vedi l’opera immersiva The four seasons Woldgate Woods (2010-2011), che presenta quattro filmati, ognuno realizzato con 9 videocamere, per un totale di 36 video digitali sincronizzati e presentati su 36 monitor, della durata di 4 minuti e 21 secondi. Questi presentano il passaggio spazio temporale da una stagione all’altra lungo una strada sita a Woldgate, nello Yorkshire.
Tra le ultime opere troviamo i colori brillanti di una rivisitazione dell’Annunciazione di Fra Angelico, molti altri sono i richiami all’arte classica, vedi la riproduzione del Battesimo di Cristo di Piero della Francesca in American Collectors (Fred and Marcia Weisman) del 1968 o a Vermeer, Degas, van Gogh in Looking at Pictures on a Screen del 1977.
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The First Marriage 1962 Huile

sur toile © David Hockney Collection Tate London

Riferendosi all’arte classica non si può non menzionare il testo Secret Knowledge (2001), in cui Hockney tratta dell’influenza della tecnologia sulla realizzazione di capolavori del Caravaggio, Van Eyck o Vermeer, e via dicendo, secondo la nota “tesi di Hockney e Falco”. Difatti, secondo l’artista per restituire quelle forme perfette sono stati usati strumenti come la camera oscura o specchi concavi, fino alla più recente camera lucida, inventata nel 1807 da William Hyde Wollaston, di cui l’artista è un abile esperto. Questa teoria ha dato vita ad un grande dibattito tra storici dell’arte di tutto il mondo, tra chi è pro e chi è contro: Susan Sontag che, durante un convegno newyorchese nel 2001, se ne uscì con questa esilarante battuta: “Dire che non vi sono stati grandi pittori prima degli strumenti ottici, sarebbe un po’ come trovare che tutti i grandi amanti della storia abbiano usato il Viagra (n.d.r)”.
D’accordo o meno, David Hockney è un grande conoscitore dell’arte. Artista inventivo e prolifico, la sua vitalità intellettuale ed artistica ha riaperto dialoghi e scambi tra diverse epoche e correnti che spesso cadono in luoghi comuni. Insomma Hockney, what else?
La mostra, aperta fino al 23 ottobre, è accompagnata da un catalogo di 320 pagine e 300 illustrazioni, pubblicato dal Centre Pompidou. Il libro comprende saggi Didier Ottinger, curatore della mostra parigina, Chris Stephens, Marco Livingtsone, Andrew Wilson, Ian Alteveer e Jean Frémon.
Livia De Leoni

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