10 agosto 2017

Coppia d’assi

 
Alighiero e Boetti e Salvo Magno, ovvero un incontro speciale tra i due artisti che hanno vissuto “lavorando giocando”. Al MASI di Lugano

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Un’analisi singolare e affascinante quella messa in atto dal MASI, ormai consolidato ponte artistico e culturale tra Nord e Sud delle Alpi, che partendo come punto focale dal sodalizio amicale e intellettuale tra due personalità – diverse per retroterra ambientale, culturale e caratteriale e tuttavia legate da comunanza di intenti e affinità che hanno tradotto ed espresso in modo differente nell’opera d’arte – come il concettuale Alighiero Boetti (Torino 1940 – Roma 1994) e il pittore di talento Salvo, nome d’arte di Salvatore Mangione (Leonforte – Enna 1947 – Torino 2015) approfondisce confrontandoli i rispettivi percorsi artistici, favorendo così la conoscenza al di là del Gottardo di due grandi protagonisti del secondo Novecento in Italia.
Humus di tale sodalizio oltre alla condivisione dello studio torinese (Boetti ospita Salvo) in Corso Principe Oddone 88 dal 1969 al 1971 (coesistenza che ha fatto parlare di un “braccio di ferro artistico” riferendosi metaforicamente a una foto che nel 1976 ritrae i due artisti a Vernazza in uno scherzoso Braccio di ferro fotografato da Annemarie Sauzeau, in home page) è il particolare clima di rinnovamento culturale che si crea nella Torino (e non solo) dell’Arte Povera in virtù anche dell’azione vivacizzante e socializzante operata a fine anni ’60 dalle Gallerie Sperone, Notizie e Christian Stein. 
Particolarmente illuminante al riguardo è stata la mostra dello Spazio -1 (adiacente al Lac, dove ha sede la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati che in un proficuo rapporto tra collezionismo privato e istituzione pubblica fa parte del MASI) in cui una trentina di opere ricostruiscono lo spirito artistico della Torino dell’epoca quando numerosi artisti quali Giovanni Anselmo, Pierpaolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Aldo Mondino, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio aventi come mentore il critico Germano Celant sono condotti oltre a Boetti e Salvo nell’alveo dell’Arte Povera.
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Salvo, Tra uno e Zero Mangione, 1969
Boetti di famiglia nobile, figlio di un notaio e di una violinista entrata nel mondo del ricamo quando il marito se ne va lasciando la famiglia senza risorse, abbandonati gli studi di economia, si forma una cultura da autodidatta, compie viaggi in Oriente ispirato anche da un suo antenato, il domenicano Giovanni Battista Boetti, missionario in Caucaso con il nome di Profeta Mansur. Sui vent’anni dipinge paesaggi a olio ispirandosi al pittore russo Nicholas De Staël, studia incisione a Parigi e giunto a Vallauris, interessato a ceramiche da rivendere in Italia, conosce nel 1962 Annemarie Sauzeau, sua futura moglie da cui avrà Matteo e Agata. Nel 1971 compie il suo primo viaggio in Afghanistan dove ritorna fino al 1979 (anno in cui i Russi occupano il Paese) avviando una produzione di piccoli ricami e Mappe, planisferi ricamati e riproposti con le variazioni politico-territoriali che si succedono. Risposatosi con Caterina Raganelli nel 1990 ha un terzo figlio, ma poco dopo si spegne.
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Alighiero Boetti, Oggi, 1988
Salvo a 10 anni si trasferisce con la famiglia da Catania a Torino, dove risiede per tutta la vita. Nel 1963 partecipa alla 121ª Esposizione della Società Promotrice delle belle Arti, in ristrettezze come molti figli di emigranti del Sud respira il ’68 parigino e rientrato a Torino, ritorna all’arte grazie all’incontro con Boetti.
Rapportatosi con i concettuali americani, incontra Sol Le Witt che gli acquista alcune opere e compie un viaggio in Afghanistan mentre si vanno definendo i capisaldi della sua poetica: la ricerca narcisistica dell’io e il rapporto con il passato.
In tale ottica si pongono i 12 Autoritratti in cui con la tecnica del fotomontaggio inserisce il proprio volto. Nello stesso tempo realizza lapidi marmoree con parole e frasi incise quali Idiota, Io sono il migliore… a cavallo tra l’Arte Povera e classica con pennellate di grande ironia. In questi anni conosce Cristina, sua compagna per tutta la vita da cui nasce la figlia Norma. Nel ’73 Salvo torna alla pittura figurativa – considerata da Boetti un tradimento degli ideali del ’68 in quanto distacco dal mondo reale, disdicevole per chi come lui si sente dentro il presente – che non abbandona più, tanto da porsi come ultimo nell’elenco dei 57 pittori italiani (1975) e negli anni è un susseguirsi di lavori, viaggi, successi e riconoscimenti anche internazionali.
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Salvo, 12 Siciliani, 1976
La mostra cronologico-tematica del MASI attraverso più di 150 tra frasi, fotografie inedite, ricami, dipinti e saggi si articola in due parti. La prima in cinque sezioni analizza la conoscenza reciproca con la progressiva definizione delle singole identità attraverso il rapporto umano, artistico e intellettuale di carattere concettuale ben reso dalla frase del sottotitolo “Vivere lavorando giocando” pronunciata da Salvo nel maggio 2011 in occasione di una giornata di studio dedicata a Boetti a significare la totalizzante e assoluta serietà del gioco dell’arte. La seconda, articolata in diversi settori, indaga i rispettivi iter successivi con Boetti che si esprime attraverso il colore come nei coloratissimi arazzi, la proliferazione dello stesso soggetto e la delega ad altri mentre Salvo passa dalle lapidi neutre alla figurazione a tutto tondo.
Entrambi amanti della musica (Boetti la batteria, Salvo la chitarra) e del gioco diventano giocatori di e con le parole tanto da divertirsi seriamente con il proprio nome. Il primo lo dilata con l’aggiunta di una congiunzione – come si firma dal momento in cui nel 1973 si trasferisce da Torino a Roma – che scinde l’unicum nome e cognome qualificante una persona (evidenziando il nome maggiormente la sfera privata e il cognome quella pubblica) in un doppio connotato in modo da creare l’alter ego, il gemello quasi biovulare, il doppio che assume i caratteri del pubblico: soluzione che rappresenta un’ottimistica limitazione delle ben più angoscianti maschere pirandelliane che divengono tante quante le persone con cui si entra in contatto. Il secondo, invece, lo accorcia eliminando il cognome che si può dedurre da un anagramma coniato per lui: in arte è Salvo Magno!
Due artisti da scoprire passeggiando in modo parallelo tra le loro opere per scoprirne sintonie e divergenze.
Wanda Castelnuovo

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