20 luglio 2017

Le Topografie di Jacob Leary

 

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Al 137 di Flinders Lane, a Melbourne, il poliedrico artista australiano Jacob Leary espone il suo coloratissimo e inaspettatamente tridimensionale ultimo progetto. Ma per iniziare conosciamolo più da vicino. Leary, classe 1981, nasce a Hobart, capitale della Tasmania dove, nel 2012, consegue il master in Belle Arti alla Hobart School of Art. Durante il percorso formativo, il mondo digitale contemporaneo è stato al centro della sua attenzione creativa. Realizza, infatti, durante l’ultimo anno di specializzazione, un’istallazione multimediale che esplora l’esponenziale crescita della tecnologia nella cultura contemporanea. Nello stesso anno viene insignito del John Fries Memorial Prize, un ambito riconoscimento nazionale per visual artists emergenti. Da Hobart i suoi lavori approdano a Melbourne. Nel 2015, la Galleria Flinders Lane organizza la sua prima personale dal titolo “The Origins of Superflous”. Per quest’occasione elabora un’idea accattivante, esaltando i binomi chiave della sua produzione: disordine (a prima vista) e ordine metodico (quasi scientifico), realtà virtuale e concretezza delle forme. La produzione del 2015/2016 sembra essere l’idea embrionale che ispira l’ultimo progetto di Leary, con lo sviluppo di nuove sculture bidimensionali a prima vista, che ricordano le foto di carte topografiche di una parte della superficie terrestre, ritoccate digitalmente, dai colori vivaci e accattivanti. Una ricostruzione di un mondo che sembra appartenere alle immagini d’impatto del web, emerso attraverso una stratificazione rigorosamente precisa di ritagli manuali e collage, con il risultato di montagne di forme geometriche ondulate in una massa di colore esplosivo. I mondi evocati all’artista australiano diventano la traduzione di un linguaggio digitale in un oggetto fisico e allettante. Questi mondi possono sembrare, a prima vista, masse di colori caotiche, ma a una disamina più attenta, ciò che diventa evidente, è un paesaggio variopinto e di strutture ordinatissime. (Gaia Tirone)

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