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“Chiudete gli occhi voi che entrate ed ascoltate il suono del silenzio,” si può leggere su un cartello affisso al portale della chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, edificata nel 1619, con successivi e significativi interventi di Cosimo Fanzago, tra i maestri del Barocco napoletano. Salendo per il doppio scalone in piperno, sul braccio longitudinale, si innesta un’ampia navata su cui si affacciano una serie di cappelle che invitano alla meditazione. Dal lucernario posto al culmine della cupola, piove sull’altare una luce fioca e senza toni.
Riina Varol, artista nata nel 1979 a Pärnu, ha scelto un luogo intriso di storia e spiritualità per “KESE”, “centro” in estone, la sua prima personale napoletana. L’ ambiente mistico e severo incarna lo spirito della mostra, l’installazione fotografica sostituisce la pala d’altare del presbiterio e il vuoto dell’infinito si riempie di una natura tridimensionale autosufficiente, kese d’equilibrio. L’opera concettuale ci interroga sul rapporto immanente tra la natura (Dio) e l’uomo, indaga, fruga, percorre, connettendosi con la madre terra. Una cornice barocca limita l’opera unica di grandi dimensioni e l’avvolge d’oro splendente, il ventre della terra in uno scatto: «Questa fotografia è un segreto che parla di un segreto, scattata nel mio cuore», ci ha detto Riina. L’ installazione è come uno schermo diafano attraverso il quale si attua una misteriosa osmosi, stabilendo una continuità tra il mondo oggettivo e quello soggettivo. Il verde bosco è il colore predominante nella foto che sfuma in marrone e grigio scuro. La terra si avvolge su se stessa, si contorce e si offre all’occhio del pubblico nella sua forma primitiva. «La natura contiene le risposte a quelle domande che l’uomo può trovare solo nell’ arte», ha sottolineato l’artista prendendoci per mano e invitandoci all’ascolto dei suoni new age di Martin Rästa, che fanno da sottofondo all’installazione. (Danilo Russo)