20 giugno 2017

Tre modi di dire arte

 
Il mondo del contemporaneo visto attraverso le prospettive del Grand Tour odierno. Diario di bordo tra una Documenta da salvare, lo Skulptur Projekte e un'Art Basel senza scintille

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Cercherò di riassumere in pochi paragrafi la mia personale comprensione di tre grandi eventi artistici visitati negli ultimi dieci giorni senza una lunga lista di nomi. Come un tempo disse Baltasar Gracián: Lo breve, si bueno, dos veces bueno, il breve, se buono, è buono due volte.
Un’avventura di dieci giorni è sembrata un viaggio attraverso il tempo e tre universi differenti, partendo da un approccio politico rispetto alla situazione di crisi che caratterizza la società attuale, alla ricerca di soluzioni, attraverso affermazioni artistiche impegnate sia dal punto di vista estetico che sociale, e concludendo con il sofisticato mondo parallelo del mercato dell’arte.
dOCUMENTA 14 a Kassel, conosciuta come la più importante mostra d’arte contemporanea a sfondo politico del mondo, che si svolge ogni cinque anni, ha offerto ai visitatori un motivo per essere critici e confusi. E infatti non intendeva essere un parco di divertimenti tematico comprensibile al primo sguardo, ma il risultato di un meditato, sebbene complesso, e probabilmente troppo esteso, insieme di esposizioni, performances, pubblicazioni, proiezioni, conferenze, programmi radiofonici e televisivi. Trasformando questo evento culturale della durata di cento giorni, in un continuum di sperimentazione estetica, economica, politica e sociale in due città europee (Atene e Kassel). Lo spettatore potrebbe obiettare che il concetto profondo e i brillanti interventi pronunciati durante la conferenza stampa non sono stati attuati, o per lo meno non sono così evidenti, all’interno dell’esposizione. Si potrebbe criticare la mancanza di organizzazione (almeno per quanto riguarda i primi giorni di apertura), con cartelli e indicazioni non pervenuti, mappe e testi confusi o addirittura mai esistiti e con uno staff inesperto. Ci si potrebbe anche lamentare del fatto che bisogna leggere tutto il materiale documentativo e informativo, preliminarmente e anche dopo, per essere in grado di catturare il concetto generale e il suo complesso significato. Sembra che la mostra sia moralista, evidenziando solamente le diversi crisi che attanagliano il mondo, senza necessariamente indicarne le possibili soluzioni. Tuttavia tutto ciò è, in parte, stato fatto di proposito: la squadra di curatori invita il visitatore a “disimparare”, a liberarsi delle condizioni e dei comportamenti prefabbricati e preconcetti, per aprirsi a nuovi artisti, a nuove opere d’arte e nuovi processi di comprensione senza darci lezioni e anche senza guidarci didatticamente attraverso il programma. Documenta è un luogo in cui, per tradizione, vengono rappresentati i conflitti globali: non si tratta di attraenti opere conosciute collezionate a livello mondiale. Adam Szymczyk e il suo team di curatori volevano emanciparsi dalla struttura vecchia di 60 anni di Documenta al fine di rispecchiare in modo appropriato tutti i cambiamenti politici, sociali ed economici subiti dalla società attuale e dal mondo in generale, a partire dal momento della prima realizzazione della quinquennale, con l’obiettivo di includere artisti delle zone più periferiche, invece di focalizzarsi sul punto di vista eurocentrico: questo è anche il motivo per cui Atene è stata inclusa come prima sede. Il concetto e i vari ambiziosi obiettivi di documenta 14 sono brillanti e pieni di significato, anche se difficili da raggiungere e comprendere. È consigliabile leggere e familiarizzare con i volumi stampati per l’occasione, prima e dopo: The Reader (Il Lettore) e The Daybook (Il Registro) come anche The South as a State of Mind ( Il Sud come uno stato mentale) sono dei materiali fantastici per immergersi in un esperimento che Adam Szymczyk  ha spiegato come: “Il nostro desiderio di sfocare i lavori prevedibili e scontati dell’impresa espositiva di dOCUMENTA, di qualsiasi mostra”. Lo spettatore deve sforzarsi un poco dal punto di vista intellettuale, ma credo che questo sia giusto: il compenso è una migliore comprensione delle questioni globali ed alcuni momenti di distanza dal consumo. Date un’opportunità a dOCUMENTA. I miei posti preferiti sono stati il Museum für Sepulkralkultur, il Grimmwelt, l’Hessische Landesmuseum, la documenta Halle, Ballhaus e la Neue Neue Galerie. Tra gli artisti, in una lista di nomi senza alcun obiettivo di essere completa, cito: Susan Hiller, Aboubakar Fofana, Regina José Galindo, Khvay Samnang, Agnes Denes, Wang Bing, Gauri GillRajesh Vangad, Naeem Mohaiemen, Bouchra Khalili, Máret Ánne Sara, Dan Peterman, Narimane Mari e tanti altri.
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Dopo tre giorni estenuanti ed esaustivi a Kassel, con il gelo e la pioggia, mi sono mossa in direzione di Münster, apprezzando l’installazione all’aperto di Jeremy Deller che ha portato avanti un progetto a lungo termine con le società locali assegnate durante gli ultimi dieci anni, raggruppando materiali personali in diari riguardanti l’impegno dei giardinieri selezionati (Speak to the Earth and it will tell you, 2007-1017/,Parla con la Terra ed essa ti saprà dire, 2007-1017). Ma anche l’enorme installazione nell’ex Eis Palast (pista di pattinaggio) firmata Pierre Huyghe (After ALife Ahead) che si basa sulla distruzione e ristrutturazione e sugli interventi tecnologici e mediatici, giocando con la nozione di riconvertire strutture urbane in terreni naturali ibridi, dove si sta concentrando una vita biologica con una vera e simbolica architettura, Mika Rottenberg (Cosmic Generator, Generatore Cosmico) ha trasformato un ex supermercato asiatico in un sistema di gallerie, riferendosi alle strutture apparentemente esistenti che portano i migranti dal Messico agli Stati Uniti attraverso tunnel nascosti in negozi e supermercati. Una rinfrescante istallazione all’aperto, che non dialoga solamente con l’ambiente esterno, ma anche con il pubblico che ne è partecipe, è stato costruito da Ayşe Erkmen per collegare le due sponde del fiume nel porto, alla periferia di Münster: On water consta di un molo di metallo posto appena sotto la superficie dell’acqua, che si può usare come ponte per attraversare il fiume, togliendoci le scarpe ed apprezzando la sensazione dell’acqua fredda. E ce ne sono molte altre da scoprire.
 
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Basel, invece, ama la grandeur divertente. E senza sorprese.
Tra Liste, Art Parcours, Art Unlimited e altre fiere, le proposte erano piuttosto sicure, specialmente a Liste, con lavori facilmente assimilabili. Alcuni straordinarie opere sono pezzi storici di Christopher Knowles a Nogueras Blanchard Gallery, Franziska Lantz (un’istallazione con relitti militari, guerra e distruzione che interagiscono con il pubblico, rappresentati da Supportico Lopez), un’istallazione video di Naufus Ramirez-Figueroa (Guatemala City, rappresentata da Proyectos Ultravioleta) la quale presenta diversi lavori video che esaminano il corpo, la sua relazione con il contesto esistenziale ed effimero, oltre ai lavori intrecciati dell’artista londinese Zoé Paul, rappresentati da The Breeder di Atene.
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Art Unlimited – come sempre guidata dall’obiettivo di offrire una piattaforma per enormi istallazioni, soddisfacendo la domanda per strutture che riempiono lo spazio e progetti video come il luna park Now I Won, Ora ho vinto, firmato dall’artista svizzera Claudia Comte al Masseplatz – ha offerto al pubblico vecchi e nuovi lavori come: Sutter’s Mill (Il mulino di Sutter)  di Jason Rhoades del 2000 (che consta pali di alluminio lucidato montati e smontati costantemente dallo staff della galleria in un azione a modo di performance che rappresenta la produzione artistica ed il processo creativo); oppure il Gospel Rock di Mike Kelley del 2005, un’istallazione che include vari video, oggetti, sculture citando l’intrattenimento attraverso la rappresentazione di fotografie trovate in un annuario scolastico. Susan Hiller, che ha mostrato un forte lavoro digitale che tratta la sparizione di linguaggi e dialetti a dOCUMENTA 14, a dOCUMENTA 13 aveva allestito per la prima volta l’istallazione Die Gedanken sind frei (I pensieri sono liberi, 2012). Il lavoro mette in scena la collezione di 100 canzoni politiche a partire dal XVI secolo (la rivolta dei contadini tedeschi tra il 1524 e il 1525) fino al 2011 (la primavera araba) che il pubblico può selezionare da un jukebox in legno Wurlitzer personalizzato, con i testi delle canzoni incollati alle pareti della cabina. Il lavoro collaborativo di Julian Charrière e Julius von Bismarck (rappresentato da Galerie Tschudi, Zuoz, CH e Sies+Hoeke, Duesseldorf) era un’istallazione video a due canali, su due pareti opposte con uno specchio semi-trasparente nel mezzo (Objects in mirror might be closer than they appear, Gli oggetti nello specchio potrebbero essere più vicini di quanto sembrano, 2016-2017). Il video includeva le prime riprese ritrovate, fatte dalla NASA, che ritraevano la terra vista dallo spazio, giustapposte alle immagini ravvicinate degli occhi di un cervo che sono state girate nelle zone limitrofe al sito di Chernobyl, un fantastico contenuto che riflette gli effetti dell’attività umana, ma il simbolismo stesso e il il suono fisso lasciano lo spettatore con un senso di desiderio per la qualità concettuale e la forza che si meriterebbe. Probabilmente il lavoro più inatteso, ed in qualche modo anche il più ridicolo, è stato quello di John Baldessari, un’enorme istallazione di un appartamento completamente bianco in stile anni ’70, con salotti ed una modella vestita in candido, con un barboncino altrettanto bianco, che posa al suo interno. Viene descritto come un richiamo all’impegno con l’arte concettuale dalle influenze surrealiste che caratterizza l’intera carriera dell’artista, ma in qualche modo il collegamento tra il lavoro presentato e l’oevre dell’artista era perturbato e l’istallazione sembrava piuttosto un’enorme critica alle tendenze attuali del mondo dell’arte. Un lavoro divertente firmato David Claerbout, intitolato The pure necessity (Pura necessità) del 2016, ricostruiva il cartone animato della Walt Disney, Il libro della giungla, ripetendo l’ultima scena del film originale in cui una giovane ragazza arriva per prendere dell’acqua. L’intervento dell’artista è stato quello di “disumanizzare” gli animali restituendo loro i propri istinti animali, i personaggi sono stati riconvertiti in animali con i propri comportamenti, e anche eliminando Mowgli, il protagonista umano, e rimuovendo la base musicale. Un commento riguardo le tendenze sociali verso la standardizzazione e un’infantile visualizzazione del nostro mondo? Mentre il lavoro ha convinto in fiera con un’opulenza estetica ed un contenuto politico implicito, la mostra ampiamente annunciata alla Schaulager è risultata piuttosto deludente con la presentazione di due video su due schermi in una stanza all’entrata dell’esposizione, annunciata come il progetto Olympia, ossia  il video in tempo reale della disintegrazione degli edifici nazisti a Berlino nel corso di centinaia di anni. Subodh Gupta ha proposto un pasto interattivo- cucinando piatti per gli spettatori- la sua installazione su larga scala di utensili usati di alluminio è stata intitolata: Cooking the World, Cucinando il Mondo (2017). Quest’evento è stato ben accetto durante il giorno di apertura, sempre al completo e lo staff di Galleria Continua ha costantemente supportato gli eventi in uno stile da conferenza, un intrattenimento per le masse con una forte dichiarazione sociale: riflettendo sullo stile di consumo del cibo in ogni parte del mondo rispetto a differenti culture e religioni, in questo modo soffermandosi sulle nozioni di migrazione, diversità culturali e tolleranza.
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I momenti salienti della fiera sono difficili da evidenziare, dato che i lavori esposti sono risultati prevedibilmente prudenti, niente di nuovo ed azzardato, con una maggioranza di dipinti, fotografie su larga scala, alcuni video e diverse sculture. Alcuni dei miei preferiti sono stati Marcel Broodthaers Valise Vipère del 1974 e Thomas Struth: Museo del Prado 8, 1-5, Madrid, 2005 da Marian Goodman Gallery, Khalil Rabah After 12 years, Sam Durant They tried to bury us. They Didn’t know we were seeds, 2016 alla Blum & Poe, e il booth di A Gentil Carioca (Rio de Janeiro). 
La qualità è sempre stata indiscutibile, le vendite sembravano eccellenti, particolarmente per i lavori di Basquiat (nelle gallerie Lévy Gorvi, Van de Weghe, Richard Gray , Acquavella), di Philip Guston (alla Hauser & Wirth, mostra personale a Venezia nel momento in cui l’interesse per l’artista e i suoi prezzi sono aumentati), e di Gerhard Richter (da Gagosian che ha riposizionato i propri stand diverse volte durante i giorni di apertura). Grandi collezionisti americani, quelli dalla Cina e naturalmente i maggiori collezionisti europei, attraversavano sempre di corsa le sale della fiera lunedì (Art Unlimited), martedì e mercoledì (i giorni di apertura VIP) e la maggior parte delle gallerie ha riportato vendite straordinarie già dai primi giorni. Il piano terra, con posizioni artistiche più stabili, continua ad essere più frequentato rispetto al primo piano, con l’esposizione di lavori più giovani ed artisti emergenti. Il mercato, però, si può dire fosse felice: merito anche dei mega eventi artistici come la Biennale, dOCUMENTA e lo Skulptur Projekte Münster, appunto, che hanno aiutato non poco a far accelerare i ritmi di vendita e i prezzi. 
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Off fiera? Le mostre da nominare assolutamente sono: la retrospettiva video di Roman Signer nella parte contemporanea del Kunstmuseum Basel appena costruita, una sorprendente e divertente selezione di performances filmate, un “must” per i fan di Signer e molti altri. Al Museum für Gegenwartskunst, vicino al fiume, il visitatore può apprezzare un film di Richard Serra e può anche una panoramica di video selezionati registrati dal 1968 al 1979, alcuni dei quali su 16 mm. Il Museo der Kulturen ha esposto un’istallazione su larga scala firmata Miriam Cahn (Schlachtfeld, 2012) come parte del percorso artistico e una mostra sul tema della migrazione, raggruppando artefatti derivanti da differenti culture e video per illustrare le diversità culturali, le cause e gli effetti della migrazione. Una bella mostra quella di Wolfgang Tillmans alla Foondazione Beyeler, è sembrata essere una buona scusa per lasciare la folla frenetica dell’Art Basel ed andare a Riehen, gustandosi un buon pranzo nel giardino con la natura tutta intorno. La Hek (House of Electronic Arts) attualmente presenta una mostra collettiva che analizza i complessi processi delle opere d’arte digitali; una mostra in qualche modo didattica, mostrando il significato dell’arte elettronica, ma il concerto di Carsten Nicolai, conosciuto come Alva Noto, è stato artificioso e sconvolgente, volto a intrattenere il pubblico anche se non si fosse presentato. Ma forse sono troppo cresciuta per questo genere di iniziative.
Una maratona artistica, insomma, che è stata sin dall’inizio molto stimolante dal punto di vista intellettuale, con molte scoperte, tante ricerche, imparando e disimparando, con tratti di frustrazione e di discussione, dove si sperimentano artisti famosi, le loro sculture e installazioni all’aperto, concludendo il viaggio in una catena di fiere ed eventi piuttosto deludenti dal punto di vista dei contenuti e per quel che riguarda il listino prezzi. Il mercato artistico commerciale ha perso le sue sorprese, le persone vogliono fare investimenti sicuri in opere di artisti con una posizione solida e stabile. Mi chiedo dove si arriverà di questo passo, in particolare per gli artisti emergenti e le piccole gallerie. A Kassel era chiaro: siamo arrivati ad un incrocio mozzafiato che rappresenta una realtà globale per la maggior parte dei cittadini e per il pianeta, ma a Basel queste realtà sono state clinicamente separate dal pubblico.
Anne-Marie Melster

Traduzioni: Gaia Tirone e Giulia Pavesi

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