25 maggio 2017

Come sta il video?

 
A Bologna “Videoart Yearbook”, il diario dell'arte italiana in movimento. Ne parliamo con il nuovo direttore del MAMbo, Lorenzo Balbi, alla sua prima “uscita ufficiale”, e Silvia Grandi

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Edizione numero XII quest’anno per “Videoart Yearbook”, la più longeva rassegna dedicata alla videoarte italiana promossa dal DAR – Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e che sarà presentata solo oggi alle 17.30 nell’Aula Magna di Santa Cristina. Ne abbiamo parlato con Silvia Grandi, membro del comitato scientifico assieme a Renato Barilli, Fabiola Naldi, Guido Bartorelli, Pasquale Fameli e Alessandra Borgogelli, e con Lorenzo Balbi, nuovo direttore del MAMbo che sarà presente in una delle sue prime uscite ufficiali in città dopo la sua nomina. 
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Cosa vedremo in questa nuova edizione di “Videoart Yearbook”? 
Silvia Grandi: «Anche quest’anno abbiamo deciso di proporre la formula della selezione di quattro personalità “forti” che abbiano partecipato alle edizioni precedenti, cercando di dare una panoramica delle diverse metodologie espressive della videoarte italiana, ovvero fornendo dei “percorsi” individuali di artisti che lavorassero con diverse modalità del linguaggio video, percorsi che fossero al contempo rappresentativi delle più attuali ricerche visive. Ecco perché alla video animazione, realizzata con lo stop motion da Rita Casdia, abbiamo affiancato lavori che documentano azioni e performance, come nel caso di Filippo Berta e altri improntati al genere cinematografico visionario, come nel caso di Christian Niccoli e Debora Vrizzi».
Com’è nato questo il vostro interesse per il video? 
S.G. «Nel 2006 abbiamo avviato questo progetto di ricerca spinti dalle sollecitazioni di Renato Barilli, che per primo si è occupato di questo medium già nel 1970. In undici anni abbiamo selezionato e raccolto in un archivio oltre seicento opere della migliore produzione video italiana. Il video è un mezzo duttile, facile da far girare attraverso il web proprio perché immateriale e adatto ad una diffusione molto più ampia rispetto ai tradizionali linguaggi espressivi dell’arte contemporanea. In sintesi può raggiungere tutti e conseguentemente può essere fruito democraticamente anche da chi non è esperto di Arte contemporanea».
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Cos’è cambiato nella videoarte in questi dodici anni? 
S.G. «L’esigenza attuale sembra quella di staccarsi dalle classiche regole della costruzione videografica, in favore di nuovi sconfinamenti linguistici, senza escludere il racconto privato o lo svolgimento di una storia. Oggi infatti molti artisti visivi, dopo aver rifiutato la semplice narrazione o il plot narrativo più complesso, stanno tornando a guardare a tutto ciò che negli ultimi decenni era diventato esclusivo terreno di analisi della produzione cinematografica, nella fattispecie per quanto riguarda l’ambientazione realistica e l’utilizzo della fotografia al fine di creare ed evocare atmosfere di particolare impatto visivo. Gli artisti, da sempre, si sono fatti interpreti di una “visione” particolare del mondo, operando attraverso il linguaggio del video, il mezzo espressivo che per vocazione tende a scardinare i meccanismi ordinari dell’assuefazione visiva. A ciò non si sottrae nemmeno il gruppo di sperimentatori che questo anno abbiamo deciso di invitare alla rassegna, pur nella differenza delle modalità espressive».  
Qual è il tuo punto di vista su Bologna e sul sistema culturale con il quale dovrai a breve confrontarti?  
Lorenzo Balbi: «Durante i numerosi viaggi a Bologna che ho avuto l’occasione di compiere negli ultimi anni ho potuto constatare come la scena culturale cittadina sia una delle più effervescenti a livello nazionale. Questa situazione deriva certamente da un ambiente creativo che dagli anni sessanta e settanta pervade i diversi ambiti culturali ma anche da un’attitudine alla sperimentazione e alla ricerca che ha portato a stabilirsi in città numerosi artisti, curatori, critici, collezionisti, galleristi, creativi e operatori culturali. La linea scientifica che voglio portare avanti come responsabile dell’Area arte moderna e contemporanea dell’Istituzione Bologna Musei parte dal fare tesoro di questo patrimonio – penso che questo sia il compito primario di un museo pubblico – prima di proporre progetti che riescano a valorizzarlo contribuendone allo sviluppo e all’affermazione in Italia e all’estero.
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Hai scelto di compiere un passaggio coraggioso, quello da un’Istituzione privata, di estrema rilevanza internazionale, a una pubblica, importante ma con tutte le sue complicazioni. Cosa ti aspetti da questa esperienza al MAMbo?
L.B. «Per quanto una Fondazione privata e un grande museo pubblico possano sembrare due realtà molto lontane le loro dinamiche strutturali e produttive sono simili, credo pertanto che il passaggio più impegnativo per me sarà quello di ruolo: dal dipartimento curatoriale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, in cui seguivo mostre, progetti espositivi e di residenza, alla direzione scientifica di cinque musei. Questa prospettiva mi inorgoglisce e mi dà entusiasmo ma allo stesso tempo mi carica di grandi responsabilità. Da questa nuova esperienza mi aspetto quindi di avere la possibilità e lo spazio per poter mettere a frutto il bagaglio di conoscenze e di ricerche effettuate in questi anni, proponendo una programmazione che, sebbene fortemente orientata al contemporaneo e alla promozione degli artisti emergenti, riesca a valorizzare allo stesso tempo il patrimonio e la collezione del museo».
La tua presenza all’inaugurazione di questa nuova edizione di “Videoart Yearbook” è un forte segnale di apertura e di dialogo con le altre Istituzioni della città. Ci sono già accordi precisi? E qual è il ruolo che il “nuovo” MAMbo dovrà rivestire nel sistema culturale cittadino?
L.B. «Sono onorato di essere stato invitato da Renato Barilli, che ringrazio, a partecipare a questa nuova edizione di “Videoart Yearbook”, evento che, dopo 12 anni di ricerca sulla videoarte italiana, è diventato appuntamento imprescindibile per tutti coloro che si interessano a questo medium nel nostro paese. Il MAMbo, come dicevo prima, deve confermarsi come centro del sistema dell’arte contemporanea della città, catalizzatore delle energie che derivano da un sistema collaudato e attivo, e diventare protagonista, con le proprie proposte e attività, della scena artistica italiana ed internazionale. In questa dinamica il rapporto con le altre istituzioni della città, a partire dai musei dell’Istituzione Bologna Musei, l’Università, l’Accademia, la Cineteca, le fondazioni pubbliche e private, gli spazi no-profit, le gallerie e le collezioni è fondamentale come base su cui costruire una programmazione condivisa». 
Leonardo Regano
In home page: Rita Casdia, Stangliro, 2013
Sopra: Videoart-Yearbook

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