08 maggio 2017

Spoiler Biennale

 
George Drivas per la Grecia. Con un progetto sull'empatia verso gli “stranieri” e la necessità di salvaguardare la propria comunità
Di Elena Magini

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Al crinale tra documentario, fotografia, video arte e letteratura si colloca l’opera di George Drivas (Atene 1969), artista greco tra i più noti della sua generazione, che rappresenta la Grecia in occasione della prossima Biennale.  
I suoi video sono strutturati come un’alternanza di immagini fotografiche in bianco e nero, still utilizzati in sequenza con brani musicali e testi, che danno vita ad un lavoro ibrido e di non univoca definizione. L’opera filmica di Drivas cita il linguaggio della cinematografia classica mescolandolo ad un’estetica scientifica, in un’analisi tesa a sondare spazi e dinamiche relazionali, la vita urbana e i rapporti che la abitano. 
I soggetti principali dell’artista greco spaziano infatti dai sentimenti inespressi alle comunicazioni disattese, dalla solitudine e dall’alienazione dell’uomo moderno ai suoi fallimenti amorosi, dalle dinamiche del mondo del lavoro all’attuale “società della sorveglianza”. I film di Drivas riproducono microcosmi esemplificativi della realtà moderna, arricchiti da una forte caratterizzazione simbolica, spesso corroborata dall’uso di immagini che sembrano catturate da telecamere di sorveglianza. Le città si fanno protagoniste, impiegate come interi set per rappresentazioni distopiche e futuristiche, i protagonisti appaiono come tipi, caratteri possibili della società contemporanea, le immagini, nella loro apparente oggettività, presentano un forte potenziale evocativo. 
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Il normale svolgimento narrativo diviene una sorta di pretesto, dove il potenziale comunicativo è attribuito principalmente al ciclo continuo delle immagini, alla loro relazione significante che va oltre i singoli eventi messi in scena. Drivas è solito giocare con una temporalità non lineare all’interno della narrazione, i suoi lungometraggi si concentrano su “brani”, estratti prelevati da un contesto più ampio e inseriti in un crescendo filmico che tende ad una ripetizione e che non conduce mai ad una conclusione. 
Il progetto presentato per il Padiglione Greco, Laboratory of Dilemmas (a cura di Orestis Andreadakis, Commissario Katerina Koskina, Direttore di EMST, Museo Nazionale d’Arte contemporanea di Atene), si ispira dalla tragedia Le Supplici, dove Eschilo racconta le peripezie delle Danaidi, donne egizie figlie di Danao, che, per sfuggire alla richiesta di matrimonio dei cugini, abbandonano la terra natia chiedendo asilo al re di Argo. La tragedia si concentra sul dubbio del sovrano, tra aiutare le richiedenti concedendo loro l’asilo e rischiare quindi delle ritorsioni da parte degli egiziani, oppure rifiutare la richiesta delle donne, contravvenendo alle sacre leggi d’ospitalità che caratterizzavano il diritto e la democrazia della città di Argo. 
Nella video installazione presentata per la Biennale Drivas mette in scena la stessa drammaturgia, giocando sul dilemma tra un senso di empatia verso gli “stranieri” e la necessità di salvaguardare la sicurezza della propria comunità, argomento che per l’artista è assimilabile alla crisi dei migranti, emergenza e dilemma etico della Grecia di oggi e dell’intera comunità europea. 
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Laboratory of Dilemmas è una video installazione narrativa che presenta una situazione simile in un contesto totalmente diverso, rielaborando estratti di un vecchio documentario mai terminato su un esperimento scientifico di diversi anni fa. Il girato usato da Drivas mostrerà dettagli dell’esperimento, le ansie e le paure che albergavano il professore incaricato di portare avanti le sperimentazioni, i confitti con gli altri ricercatori, gli interrogativi morali legati alla scienza. Un lavoro quindi quello che abiterà il Padiglione Greco giocato sui sentimenti di angoscia, perplessità e confusione appartenenti agli individui e ai gruppi sociali quando sono chiamati ad affrontare dubbi e contraddizioni simili. ««Un lavoro – per usare le parole dell’artista –  sulle scelte che facciamo come cittadini e/o come intera società nella comunità europea e globale. Su ciò in cui crediamo. E dopo tutto, sul tipo di persone che vogliamo diventare».
Elena Magini

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