01 maggio 2017

SPOILER BIENNALE

 
«Cercherò di sincronizzarmi con il ritmo di Venezia, per 173 giorni»: ecco Xavier Veilhan, per la Francia
di Livia De Leoni

di

Iniziamo oggi una rubrica che vi terrà compagnia fino al prossimo sabato 13 maggio, data d’apertura ufficiale della 57esima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia al pubblico. Ogni giorno, per due settimane, attraverso le parole degli artisti o con una serie di anticipazioni (sia inedite che pubblicate su Exibart.onpaper 97) vi faremo scoprire quelli che si presentano come i “best of” dei Padiglioni nazionali in laguna. La prima parola va alla Francia, che per l’occasione schiera il suo Xavier Veilhan. Siamo andati ad incontrarlo nel suo studio a Parigi, tra la sua incredulità per l’occasione e un’atmosfera di lavoro molto rilassata. 
György Ligeti, Brian Eno, Sébastien Tellier o Cassius, tra i vinili, Black Mountain College tra i libri, Nr. 9 Zyklus di Karlheinz Stockhausen tra gli spartiti, inframezzati da strumenti musicali sperimentali, di fronte un plastico ligneo di un interno che ricorda gli spazi ritmici, qui in dialogo con i poeti musicisti, teorizzati dallo scenografo svizzero Adolphe Appia nei primi del secolo scorso. Siamo nell’atelier di Xavier Veilhan (Lione, 1963), sito nel quartiere parigino di Père Lachaise in un vecchio magazzino degli anni Settanta composto da due grandi volte in calcestruzzo armato. Un laboratorio progettuale alla maniera di una bottega d’arte del quindicesimo secolo in cui l’eclettismo produttivo è organizzato come una vera e propria impresa. Tra gli spazi aperti s’incrociano musicisti, fotografi, scenografi, designer, ingegneri e amici, tutti tesi alla realizzazione di opere come “Studio Venezia”, il nuovo progetto di Xavier Veilhan per il Padiglione francese della prossima Biennale. Costruito nel 1912 dall’ingegnere veneziano Faust Finzi, il padiglione si estende su 420 metri quadrati, qui Veilhan ci restituisce uno spazio architettonico immersivo dalle linee essenziali che gli spettatori sono invitati a percorrere liberamente, in un’opera che si riallaccia alla visione di spazio artistico interrelazionale centrato sulla figura dell’artista, come è nelle intenzioni di Christine Macel. 
null

Trasformato per l’occasione in uno studio di registrazione degli anni ’70, “Studio Venezia” si presenta come un giardino musicale in cui inseguire il proprio motus animi continuus, che per 173 giorni offre, ad una carrellata di musicisti, una situazione sperimentale inedita e momenti di creazione irripetibili. Un’opera moderna in perpetua trasformazione ma anche luogo di scambi tra musicisti, ingegneri del suono, programmatori e produttori, il tutto in dialogo con l’esterno attraverso un’applicazione mobile. La musica qui non è finalizzata alla rappresentazione di se stessa e neppure alla sola percezione interiore, ma grazie alla creazione e all’improvvisazione prende le forme casuali e variegate di un fuori programma. Quest’ultimo cala nell’incertezza lo spettatore e attiva in lui la ricerca, tra suono e arte visiva, di quel simbolo che ognuno diversamente identifica con l’arte e la creatività. Sedotto da sempre dalla fabbricazione di oggetti, Veilhan inventa e costruisce degli strumenti musicali che sono esposti con altri antichi o più contemporanei e di ogni orizzonte, sfruttandone il forte potere di comunicazione, andando così oltre il tempo e lo spazio presente. L’artista francese coltiva da sempre la relazione tra arte e musica, vedi la collaborazione con il gruppo francese Air o l’opera Music (2016) presentata presso la galleria Perrotin a New York e a Parigi, o On/Off (2014), esposizione che si trasforma in scena musicale. Ma è in questo progetto che la musica si situa sullo stesso piano dell’arte visiva. Ed ecco il perché della presenza di curatori come Christian Marclay, artista musicista vincitore del Leone d’oro nel 2011 con l’installazione video The Clock, qui in collaborazione con il critico d’arte e direttore del Mamco di Ginevra, Lionel Bovier. 
null

Come nasce “Studio Venezia”, questo progetto itinerante che diventerà poi “Studio Buenos Aires” e “Studio Lisbona”?
«Premetto che ciò che mi interessa è il fuori campo nell’arte. Quando guardo un’opera di Andy Warhol o di Piero della Francesca penso a quello che gira intorno all’opera, dalla tecnica all’energia che emana. In questo senso per “Studio Venezia” ho pensato ad un’orchestra che si accorda prima dell’esecuzione. Non si tratta di musica scritta, ma di cogliere un momento fragile, un fuoricampo musicale».
A cosa si è ispirato il progetto?
«È un’istallazione immersiva tra musica e arti visive, che si ispira al Merzbau musicale di Kurt Schwitters, al Bauhaus, fino alle esperienze del Black Mountain College passando per Station to station di Doug Aiken».
Stimolare lo sguardo, e a sua volta associarlo ad una sensazione fisica, è un leitmotiv che si ritrova sovente nelle sue creazioni. Anche in “Studio Venezia”?
«Lo studio per definizione è un luogo di creazione e di registrazione, dove il tutto si svolge in segreto, mentre qui il pubblico è in presenza di musicisti colti in piena creazione, e non in un concerto. È un’opera, anzi una sorta di caverna architetturale, in cui la materia sonora moltiplica l’esperienza visiva della visita. Una grande scultura che riprende tutti gli elementi di uno studio registrazione degli anni Settanta, ma che si presenta come uno spazio compresso, destrutturato come dopo un terremoto».
null

Lo spirito della modernità permane nel suo lavoro. Lei rifiuta l’etichetta di artista postmodernista, giusto? 
«Cerco la modernità e non la postmodernità. Mi interesso molto a come la modernità sopravviva oggi, ma non come un istante fermo nel tempo, ma come spazio dinamico. Il mondo è in continua modificazione in un presente che non esiste».
“Studio Venezia” è uno spazio architettonico a dimensione musicale che richiede tempi di esecuzione e di fruizione lunghi. È così?
«”Studio Venezia” è un progetto in evoluzione che terminerà con la chiusura della Biennale, la sua durata è dunque una chiave del progetto, il tempo stesso della manifestazione è fattore di diffusione di ciò che succede al Padiglione. Dal canto mio, cercherò di sincronizzarmi con il ritmo della città, rimarrò a Venezia durante tutta la Biennale. Ho invitato diversi musicisti, mi sembra giusto essere lì ad accoglierli. Senza per questo voler controllare ciò che accade, il fattore rischio è parte del progetto. La Biennale è un momento importante della mia vita artistica che andrà oltre il tempo dell’esposizione, infatti ne approfitteremo per lavorare a progetti futuri».
E chi sono i musicisti coinvolti in quest’esperienza fuori dal comune?
«Insieme a Christian Marclay ci siamo associati a programmatori come Enrico Bettinello, Olivier Lexa e Victor Nebbiolo di Castri per lavorare sulla lista di musicisti invitati. Tra questi verranno Christopher Chassol che propone sessioni di improvvisazione e corsi di armonia; la dj Chloé, che ricordiamo ha partecipato a Ravel Ravel Unravel di Anri Sala alla 55esima Biennale d’arte, il pianista Alain Planès, ma anche Éliane Radigue con una ventina di musicisti sparsi nel padiglione che saranno alla ricerca di un suono continuo per un’immersione totale nel fenomeno acustico. La lista s’infoltirà anche dopo l’apertura della Biennale. Si tratta di un invito, non c’è nessun contratto stipulato tra me e i musicisti, questi godranno pieni diritti sulle loro creazioni. Atmosfera conviviale garantita!».
Livia De Leoni

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui