20 febbraio 2017

MARGINALIA #16

 
Tra arte e letteratura ready made
di Serena Carbone

di

«L’etimo di “finzione” è “fingere” (participio fictum): vuol dire “formare, immaginare, modellare o plasmare”. Ogni enunciato verbale è una modulazione e una strutturazione di eventi». Recita così il frammento n.20 di Fame di Realtà di David Shields, considerato il manifesto poetico «per un gruppo in rapida espansione formato da artisti affini (lyric essay, poema in prosa, romanzo-collage, visual art, film, televisione, radio, performance art, rap, cabaret, graffiti) che infilano nella loro opera pezzi di “realtà” sempre più grandi (“Realtà”, come Nabokov non si stancava mai di ricordarci, è l’unica parola che senza virgolette non significa niente)». Quello che viene fuori è una sorta di romanzo ready made, composto da 618 frammenti, citazioni di cui solo in appendice, e non sempre, viene dichiarata la fonte. 
No-fiction o iperrealismo: vi sono diversi modi più canonici per chiamare oggi queste modalità di scrittura che hanno sviluppato nei confronti del mondo degli oggetti e delle relazioni che intercorrono tra di essi e gli individui ed a sua volta tra individui ed individui, un interesse che non si esaurisce in una descrizione o in un’informazione sulla realtà, ma orienta le possibilità di costruzione della stessa. Il procedimento del ready made duchampiano in cui l’oggetto, una volta decontestualizzato e defunzionalizzato, appare diverso dall’originale, anche se le caratteristiche d’inizio e d’arrivo sembrano immutate, si ritrova in questo “fare testo” che sottrae la parola al contesto, aprendo lo sguardo su un altro orizzonte narrativo, spesso enfatizzandone l’aspetto combinatorio e ludico, come la tradizionale tecnica dello straniamento ha insegnato. Ma non è tutto. Appare ai nostri occhi particolarmente interessante la centralità che il mondo dell’arte via via va acquisendo all’interno di questo genere, in cui la trasposizione non conduce solo alla rottura della catena di senso, ma alla costruzione di altre realtà, né utopiche né a-topiche, ma probabilmente più “eterotope”, non fosse altro che ciò che spinge il movimento è contingente, associativo e soggettivante, affine insomma a quei processi che in Marginalia hanno trovato finora il loro spazio. 
Bartleby the Scrivener
La forma-realtà, e non la forma-immagine, continua ad essere il motore di una carica propulsiva che dalle Avanguardie arriva ai nostri giorni con le dovute mutazioni e differenze ma senza avere esaurito la sua portata innovativa, come uno strappo di visione che se da una parte sottrae dall’altra aggiunge, saldando quel quid ormai manipolato al contesto quotidiano, tanto da cambiarne la percezione. Nello specifico, trattandosi di romanzi che scrivono di arte, non si fa riferimento alla poesia visiva, né alla scrittura visuale, né della tecnica dell’ekphrasis, ma a qualcosa che si colloca similarmente accanto, ma non si può sovrapporre. La carta e il territorio di Michel Houellebecq, Il Museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk, Des histoires vraies di Sophie Calle ne sono un esempio, ma ancor di più i romanzi di Enrique Vila-Matas. 
Enrique Vila Matas, Documenta 13
Kassel 2012, la curatrice di Documenta 13, Carolyn Christov Bakargiev invita cinque scrittori a partecipare: dovranno rimanere per un paio di settimane “performaticamente” seduti ad un tavolino di un ristorante cinese a scrivere (o a non scrivere). Tra questi figura proprio lo spagnolo Vila-Matas che tramuta questa esperienza in uno dei romanzi più divertenti e lucidamente irriverenti sull’arte contemporanea, in cui i protagonisti sono la stessa Bakargiev, Documenta e il mondo senza logica del sistema dell’arte. Ma Vila-Matas non è nuovo a queste operazioni “senza logica”, egli è l’autore di Bartleby e compagnia e di Storia abbreviata della letteratura portatile, romanzi bizzarri che amano la parola e da questa sono ricambiati, composti di pagine che si strutturano attraverso un guazzabuglio di fatti e persone e opere che alla storia della letteratura e dell’arte appartengono, ma la cui restituzione avviene sempre in forma originale, che strattona la storicizzazione, proponendone una lettura inedita. Basti pensare alla sgangherata compagnia degli shandy in Storia abbreviata della letteratura portatile (chiaro riferimento al Tristam Shandy di Sterne) di cui fanno parte tra gli altri Marcel Duchamp, Walter Benjamin, García Lorca e Alberto Savinio, che tra una festa e uno sberleffo alla noia, si trova a vivere una serie di avventure giullaresche alla corte della dea casualità. Omaggio a Duchamp e al Dada, il romanzo funziona come una boîte en valise “sfogliatile”.  
La copertina del libro

«Alla fine, le parole si sono salvate perché hanno smesso di vivere», dice il Personaggio del Si del romanzo di Marcel Manière, in dialogo con il Personaggio del No in Bartleby e compagnia che richiama alla memoria Bartleby, lo scrivano di Melville, il cui I prefer not to, pronunciato ogni qual volta gli venga fatta una richiesta sul lavoro o semplicemente gli venga posta una domanda che presupponga la messa in campo di un parere, una scelta, un’azione, una volontà, echeggia forte nelle arti ancor più che nella letteratura visto che è stato anche al centro di una delle micro-mostre all’interno della macro-Quadriennale da poco chiusa.
«Se venisse, /se venisse un uomo/ se venisse un uomo al mondo, oggi, con/ la barba di luce dei/ patriarchi: potrebbe solo, se parlasse di questo/ tempo, solo/ potrebbe balbettare, balbettare/ sempre sempre / soltanto soltanto», scrive Celan. «Ho un romanzo assente che ha una storia che desidero raccontare», risponde Tabucchi. «Per molto tempo mi sono coricato per iscritto», replica Perec
In questo dialogo fittizio e polifonico, ritroviamo la generazione dei Bartleby o degli scrittori del no. 
Se la letteratura è forma di pensiero, di coscienza, di sapienza allora, come suggerisce Shields, si deve iniziare a porre il problema di come saranno scritti i romanzi del futuro e, alla luce di quanto detto, anche di come il “Reale” si configuri in questa nuova prospettiva tra letteratura ed arte, considerando che per il suo carattere di già dato finora è stato quasi esclusivamente appannaggio delle arti visive. 
Serena Carbone

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