20 settembre 2016

La crisi dell’artista giovane

 

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Come è cambiato il mercato in questi anni? Chiedetelo a Niels Kantor, collezionista e mercante d’arte che due anni fa ha comprato all’asta un dipinto del giovane Hugh Scott-Douglas per circa 100mila dollari e che oggi, al momento di rivenderlo, ha visto il valore dell’opera crollare dell’80 per cento. È questo secondo Bloomberg lo specchio della situazione del mercato dell’arte contemporanea. Dopo il boom dei giovani, che nel 2014 vendevano i loro quadri astratti per centinaia di migliaia di dollari, il mercato ha subito un cambiamento radicale e proprio gli emergenti sono stati quelli che hanno subito il calo maggiore durante gli ultimi sei mesi del 2015 e l’inizio del 2016. 
Le vendite di alcuni artisti sono crollate del 90 per cento, uno su tutti è Lucien Smith, per cui nel 2014 vennero spesi 389mila dollari da Phillips, ma che oggi arriva all’incanto con una stima di 7mila dollari. Stessa storia sfortunata quella di Kantor con Scott-Douglas. Il collezionista aveva comprato l’opera nel 2014 in forma privata, un lavoro simile venne battuto da Christie’s qualche mese dopo per 100mila dollari. Kantor si aspettava di rivenderlo presto e di guadagnarci qualcosa, e prima di consegnare il suo pezzo a Phillips, Kantor ha cercato di venderlo privatamente per un anno provando ad affidarsi addirittura a eBay. Pare che sarebbe stato pronto ad accettare 50mila dollari, ma non è riuscito ad ottenere un’offerta. A questo punto della storia Kantor ha scelto di affidare il lavoro a Phillips, che lo metterà in vendita per 20mila dollari, una magra consolazione per il collezionista, che preferisce liberarsene ora, prima che possa valere addirittura meno. 
Ma che ne è degli artisti? Chi li difende? A quanto pare non le gallerie ne il sistema Arte, se questo mercato li usa e li getta via nel giro di pochi mesi. (RP)

2 Commenti

  1. Questo accade perché non comprano opere d’arte per piacere, ma principalmente per investimento: che cosa significa rivendere anche in perdita? Significa che di quel dipinto o di quell’artista in realtà non gliene importava nulla, era solo una puntata alla roulette per fare più soldi.
    Ben gli sta.

    Perlomeno nel ‘900 i collezionisti amavano l’arte che compravano, per tale motivo aumentava di valore, perché se la tenevano stretta gelosamente.

    Purtroppo questo è il mondo di oggi: dio denaro über alles, nessuno ha più un’anima ma solo una pancia.

    È anche colpa di un’educazione disperatamente fondata sul profitto, sulla competitività, sul mercato, impartita ai giovani delle ultime 3-4 generazioni per diventare (im)perfetti ingranaggi nel grande meccanismo del materialismo, ben oliato con la perdita di valori; quindi lasciate ogni speranza: ormai le ultime generazioni sono venute su così e tra di loro non vi sono collezionisti veri, ma solo questa sottospecie di collezionisti investitori che spesso non hanno neanche i mezzi intellettuali per capire cosa hanno comprato; e anche se magicamente si corresse ai ripari da domattina educando i giovani di oggi all’idealismo e alla passione, per almeno un ventennio il mercato rimarrà una parolaccia.

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