19 marzo 2015

La lavagna

 
Delenda Tunisi
di Marcello Carriero

di

Immaginiamo uno scatto di Thomas Struth dentro il museo del Bardo a Tunisi. Gente di fronte ai mosaici che vanno dal II al IV secolo d. C. Confrontiamolo ora con un’immagine della furia assassina di ieri. Un rovesciamento di senso che la realtà traumatica attua con repentina violenza, in assurda continuità con la scia iconoclasta contemporanea, restituita sul web con una meschinità raccapricciante. L’annuncio dell’attacco a “un luogo culturale” esaurisce ogni dubbio sulla natura di questa barbarie omicida. Si impone nella produzione immaginativa come i flash spot sui siti, mostrando l’orrore ad alta definizione. Ieri però si è anche confermato il calcolo esiziale di una strategia. La strategia perversa di un modo impaurito dalla primavera araba che reagisce insinuandosi nella difficile costruzione di una democrazia esordiente. Democrazia percepita come l’invasione di un modo di vivere la realtà che appartiene all’altra sponda del mediterraneo. Ecco allora che si attua il ferale disegno nel luogo di congiunzione delle due sponde dove i romani antichi hanno di fatto rifondato la nemica Cartagine, per ribadire col termine mare nostrum un territorio comune di scambio. Ecco, quindi, la frattura e il turbamento di un corso storico avviato sui social network, ossia figlio di un buon uso della rete così come del cattivo uso è figlio il terrore. 
Trasformare il museo in una trappola mortale non è la mistificazione avanguardista che, per quanto violenta, rimane simbolica, ma una vigliacca dimostrazione di paranoica incertezza e di miseria certa, basata sull’eliminazione dell’altro da sé, di ciò che non si conosce o che è troppo faticoso conoscere come la storia di un mare che sta in mezzo alle terre come un ponte. Basterebbe tornare a leggersi Mediterraneo di Fernand Braudel.     

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