28 gennaio 2015

Il digiuno della cultura

 
La Sicilia si fa i conti in tasca. E scopre che, come diceva il Ministro Tremonti, con la cultura non si mangia. Ma l'isola è forse solo uno dei tanti esempi italiani non in grado di far fruttare il patrimonio

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Tutt’oggi, quando qualche sventurato politico poco consapevole della materia non sa bene che dire, tira fuori che l’Italia è il Paese con il più grande patrimonio del mondo. Abbiamo tutti, da queste parti, capito l’antifona: se con la cultura non ci si fa nulla, è però materia inutile. 
Dunque sono palle che il nostro Belpaese sia il più ricco al mondo, perché “capitalizza”, passateci il termine, ben poco di quello che invece potrebbe recuperare nell’arte, per usare il termine più generico.
Un po’ ce ne siamo accorti, e le cose lentamente paiono sulla via del cambiamento, ma ci sono luoghi celebri per la loro bellezza che non riescono a cavare un ragno dal buco.
Stavolta il caso emblematico è la Sicilia, che attraverso le pagine del suo giornale “La Sicilia”, appunto, si è frugata nelle tasche scoprendo che sono completamente vuote quando si parla di indotto culturale. “Quelle poche risorse che si mettono in circolo vengono poi disperse in mille rivoli di sagre e spettacolini – spesso per dare il contentino clientelare a questa o quella associazione – e che di fatto non portano alcun beneficio”, si legge.
Il paragone che il quotidiano fa è con il Comune di Verona, che invece ricava dalla propria offerta culturale qualcosa come 5 milioni e mezzo l’anno. Palermo, pro capite, 11 centesimi l’anno. Certo, la città scaligera ha la stagione lirica, l’Arena e la Casa di Giulietta, un vero e proprio emblema che per certi versi sfiora il pessimo gusto tra pareti zeppe di gomme masticate su cui si attaccano bigliettini d’amore, ma che attrae turisti da ogni capo del mondo, che poi a Verona alloggiano, mangiano, comprano, spendono. 
Senza nulla togliere alla città veneta, cosa manca a Palermo, Catania, Messina, Agrigento e chi più ne ha più ne metta, rispetto ai suoi concorrenti mille chilometri più a nord? Nulla. Eppure, si denuncia, “Le Amministrazioni alle prese con gravi problemi di carattere finanziario preferiscono tagliare proprio su un settore ritenuto – erroneamente – di élite”. 
E così a Palermo non arrivano grandi concerti, non arrivano grandi mostre, le stagioni dei teatri sono alla canna del gas e si perpetuano “sagre e sagrette” che non fanno altro che alimentare a zero una scarsa economia locale.
I privati, come abbiamo visto anche rispetto all’ultimo progetto di Alfredo Pirri alla Chiesa del Giglio del capoluogo palermitano, sono lasciati soli e spesso non si riescono a prendere cura dei propri tesori.
Il crowdfunding? Chi investirebbe nella tutela di Beni che, magari una volta restaurati, sarebbero di nuovo lasciati andare al loro destino o, peggio, non avrebbero destinazione d’uso? I nodi da sciogliere sono tanti, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Altrimenti l’isola, insieme ad altre aree d’Italia, oltre ad essere “deserta” di attività che possano generare ricchezza con la ricchezza già esistente da millenni sul territorio, rischia di restare quel porto franco di predoni mafiosi che, come abbiamo visto con la restituzione dei 5mila Beni Archeologici recuperati dal Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, draga mari e siti archeologici, per rivenderli a caro prezzo a chi, invece, nella cultura crede. Ed è in grado di promuoverla e ricavarne indotto. E tanto. 

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