25 settembre 2013

Parola di curatore

 
Materia significante
di Marco Tagliafierro
Che rapporto c’è tra l’artista, l’artigiano e l’impresa? L’abilità tecnica, o tecnologica, è ancora il punto di snodo di questa relazione, in che senso?

di

Ciò che costituisce la sostanza di un oggetto, di un corpo, oppure il contenuto di un discorso e di un pensiero, anche di un testo scritto, la potenza, l’estensione, la forza in quanto principio costitutivo della realtà naturale, questa è la materia! Un materiale, invece, può significare solo la materia necessaria  per compiere o realizzare un certo lavoro, oppure l’insieme degli strumenti per lo svolgimento di una determinata attività. La collaborazione tra un artista e un sistema produttivo artigianale o industriale può risultare proficua se intesa come azione volta all’esplicitazione delle proprietà latenti della materia.
Del resto, l’azione dell’artista, originariamente, riuniva tutte le attività umane frutto di ingegno e di abilità manuale e tecnica rivolta alla materia. L’arte, così, diviene un’interfaccia tra pensiero e τέχνη (téchne), tra un impulso che oscilla tra l’indicibilità del gesto creativo e l’abilità tecnica, o meglio tecnologica. Affascinato dalla vastissima letteratura che testimonia l’assidua frequentazione di laboratori artigianali e di strutture produttive industrializzate, da parte degli artisti, fino ad alcune decadi or sono, da alcuni anni ho iniziato ad impegnarmi, in prima persona, in un percorso volto all’attivazione di occasioni di interscambio tra arte e impresa. Per esempio, un’azienda ingegneristicamente avanzata come Stonefly, considerata dal punto di vista delle materie che prende in esame e che lavora, può coadiuvare un gruppo di artisti nell’individuazione delle modalità più efficaci per realizzare le loro urgenze espressive, affinché esse non restino allo stadio embrionale o prototipale. L’artista, in cambio, mette in gioco il suo sguardo altro, che spesso si dimostra capace di sovvertire i preconcetti, aprendo nuove possibilità interpretative della materia stessa. La Fondazione Bevilacqua La Masa, penso non solo da me, percepita come il punto di osservazione delle esperienze artistiche più interessanti del Triveneto, mi ha dato la possibilità di operare a stretto contatto con l’azienda Stonefly, intervenendo su una collaborazione già in corso da quattro anni. A tale proposito sto curando il confronto tra  un nutrito gruppo di artisti e curatori e questa azienda di Montebelluna in provincia di Treviso (la Stonefly, appunto), partendo dalla convinzione per la quale la fittissima rete di imprese italiane può esprimere un’importante scommessa: diventare il paese capofila in questo tipo di collaborazione tra i diversi modi di “fare”, “operare”, “produrre”. Amedeo Abello, Thomas Braida e Valerio Nicolai, il collettivo Cake Away, Lorenzo Commisso, Marco Gobbi, Andrea Grotto, Cristiano Menchini e Adriano Valeri, Dritan Hyska, Rachele Maistrello, Elena Mazzi, Corinne Mazzoli, Martin Romeo, Claudia Rossini, Špela Volčič stanno lavorando a questo progetto con grande passione, esprimendo un talento non comune.

Sorprendente fu per me l’esperienza vissuta con Frankie Morello che nel 2009 concesse a me e alla mia collega curatrice, Rossella Moratto, carta bianca nella progettazione di un’occasione di “residenza d’artista” da offrire ad un artista selezionato da noi curatori ed invitato a trascorre un mese all’interno di questa fantastica realtà creativa e produttiva che, come accennavo, corrisponde al nome di Frankie Morello. L’artista (Sophie Usunier, da noi selezionata) fu accolta con grande entusiasmo in azienda e da subito si innescò un rapporto di grande fiducia che portò a risultati imprevedibili ma assolutamente positivi per tutti noi circa l’impiego di simboli desunti dalla “street culture” su tessuti stretch. 
Molte opportunità di lavoro si sono susseguite negli anni concedendomi di approfondire le ragioni di questo modo di operare, anche fuori da confini nazionali, tra le aziende con le quali ho operato cito: Agnona, Audi, Cartier, Yoox. Mi piace ricordare il percorso che l’artista Paolo Gonzato ha vissuto con l’operatore culturale Ayaki Itoh che lo ha guidato in Giappone per l’interazione con Japan Brand, l’organizzazione governativa ha come missione salvare i prodotti di artigianato d’eccellenza: botteghe e saperi che si tramandano in tradizioni millenarie ma che nella nostra epoca rischiano di sparire; Paolo Gonzato ha prodotto diversi oggetti con questi artigiani nel corso della sua permanenza in Giappone, oggetti che poi sono stati raccolti in una mostra che io ho avuto il piacere di curare in alcune sale del Palazzo Ducale di  Genova nel 2010. Paolo Gonzato non era nuovo a questo modo di concepire la sua attività artistica, per questo ha continuato a farlo nel tempo, collaborando, ad esempio,  con Renault, nel 2012, ad un progetto che ha visto la curatela di Milovan Farronato
Molti infatti sono stati i curatori impegnati a comprendere l’urgenza di rintracciare le fila di un discorso tra arte e impresa, il materiale da investigare era ed è estesissimo; pioniera in questo senso era ed è la studiosa e storica dell’arte e del design Mariuccia Casadio, riferimento imprescindibile in questo senso. Ma come non citare Elisa Fulco, da sempre impegnata nella sinergia tra arte e Musei d’Impresa! Gli artisti, anche i più giovani, sono molto coscienti rispetto alle prospettive che questo modus operandi può aprirgli, potrei fare molti nomi a questo proposito: Alessandro Agudio, Marco Basta, Lupo Borgonuovo, Giovanni Di Francesco, Nicola Gobbetto, Marta Pierobon, Lucia Leuci, Andrea Romano, Davide Stucchi, Marzia Rossi, Dario Guccio e molti molti altri. Talentuosi designer sono soliti confrontarsi con gli artisti, Simone Rainer da sempre organizza le sue presentazioni attivando un dialogo con loro. Degno di menzione anche il progetto curato dal critico d’arte e curatore Simone Frangi presso gli spazi espositivi di Viafarini/Docva, un progetto articolato che riguarderà due artisti ma che in questa sede cito solo a proposito della collaborazione in corso, proprio in queste ore, tra Agne Raceviciute e il marchio Achille Pinto. Per quel che mi riguarda, sto preparando un testo che intende essere una cronaca di questo incontro tra una storica manifattura, appunto, e una talentuosa artista che ha sempre coinvolto il tessuto nei suoi pensieri e nelle suo opere. 

Mi capita spesso di essere coinvolto come cronista di un processo già in corso, come quello che Daniel Gonzalez sta preparando con Patriza Pepe, un progetto artistico che non potrà che dare esiti interessanti da molteplici punti di vista. Agne Raceviciute, da me interrogata circa il significato della sua azione sulla materia, ha risposto che la materia è per lei innanzitutto  mistero, con il quale misurarsi; secondo Agne bisogna fare esperienza della materia considerandola nel processo di lavorazione della stessa, l’artista conclude così: «un mistero colmo di valori di dignità». Per Daniel Gonzalez: «la materia, di per sé, è una constatazione della realtà. È un mix di attitudini che esplodono all’improvviso, che non possiede limiti intrinsechi di classificazione o definizioni». Con il Museo Zauli di Faenza, però, mi sono veramente reso conto del significato autentico dell’operare in spirito di continuità con una tradizione, quella secolare della ceramica faentina e quella più recente comunicata dal lascito esperienziale di Carlo Zauli. Daniel Silver, Luca Monterastelli e Maura Biava hanno lavorato con me, come curatore, entrando in piena risonanza con gli atelier del Museo, prendendo coscienza effettiva del genius loci. Maura Biava ha avuto modo di affermare: «Il colore rosso dell’argilla è in realtà il colore naturale dell’argilla, cioè se si prende la terra qui fuori Faenza, come faceva Carlo Zauli, e la si cuoce, il colore si trasforma da marrone a rosso. Ho pensato di lavorare nel modo più vicino possibile alla natura di questa zona».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui