19 novembre 2012

ARCHITETTURA Ecco il teatro che storicizza la storia

 
A differenza di quanto avviene in molta architettura italiana, un team di giovani professionisti, MDU, si misura con il paesaggio e la funzionalità. Senza dimenticare la memoria del luogo. E nutrendosi di molta arte e filosofia

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In molti campi della cultura l’Italia ha da sempre un pesante “fardello” da trascinarsi appresso che non è la storia in se stessa, quanto la scarsa capacità di storicizzarla, così da osservarla con un minor grado di coinvolgimento e la consapevolezza che essa è parte del tempo. Un flusso che, nonostante una sua apparente ripetitività, tende verso l’ignoto del futuro e non nel ripiegamento sul passato. L’incapacità di storicizzare colpisce generalmente i meno giovani, ma anche quella parte di giovani ai quali i meno giovani di cui sopra hanno insegnato a guardare indietro piuttosto che avanti.

Nonostante questo, e stante alcuni ritorni al passato evidenziati nell’ultima Biennale di Architettura veneziana, una “apertura degli occhi” sta avvenendo. Molti studi di architettura, ed architetti italiani, sembrano infatti tornati a sperimentare, ricercare e teorizzare “avventurandosi” con le loro idee oltre i patri confini, entrando così nel “dibattito” internazionale. In questo spinti dalla normale evoluzione linguistica della disciplina avvenuta in altri Paesi (vedi la Francia, la Svizzera, la Germania e la Spagna), nonché dalla possibilità di partecipare a interessanti concorsi di architettura che, a differenza dell’Italia – unica in Europa – che continua a vedere una costante diminuzione del suo utilizzo, rimane lo strumento principe per il raggiungimento congiunto di obiettivi urbani strategici ad alta qualità architettonica.

Ma fortunatamente nel nostro Paese non mancano le eccezioni che confermano la regola. Una di queste è stata data, alcune settimane fa, dal completamento del nuovo Teatro Polivalente di Montalto di Castro, progettato da MDU architetti, una delle più “lanciate” giovani realtà italiane, che nell’arco di pochi mesi ha visto l’inaugurazione di tre suoi progetti particolari quali la nuova biblioteca civica di Greve in Chianti, la nuova sede della Camera di Commercio di Prato ed appunto il Teatro che qui presentiamo.

MDU, per chi avrà la curiosità di andare a studiarli, da sempre sono caratterizzati dalla capacità di “storicizzare la storia” e di utilizzare i loro progetti come “strumenti di misurazione” dei luoghi in cui operano. Essi stessi a tale proposito dichiarano che «ogni progetto è un esperimento di misurazione che viene applicato pragmaticamente sia al paesaggio in cui ci si inserisce, che al programma funzionale, letti in chiave trasgressiva». Una dichiarazione che si fa realtà grazie all’intreccio in ogni lavoro di differenti registri narrativi mutuati spesso dalla filosofia e dal mondo dell’arte e che si svelano totalmente solo una volta che l’ultimo cartongessista è uscito dal cantiere.

Il Teatro di Montalto di Castro è anch’esso figlio di questo modello processuale, in quanto innesta su di esso la memoria del patrimonio archeologico etrusco presente nell’area, l’età della macchina che ha nella centrale Alessandro Volta, a Montalto appunto, il più grande impianto termoelettrico italiano, la lettura filosofica che Merleau-Ponty ha dato del Chiasma, l’eco dell’arte minimalista di Donald Judd e dei wall paintings di Sol LeWitt. Ma sopratutto dà forma alla consapevolezza degli architetti di essere partecipi del mutamento della realtà che il progetto, come ogni progetto, genera nella comunità, e non solo nella città, in cui andrà ad inserirsi. Ecco che stanti i rimandi alla memoria etrusca del basamento del Tempio Grande dell’area archeologica di Vulci, ricreati nel grande monoblocco di calcestruzzo, e l’innesto su di esso del simbolo dell’età della macchina, la grande lanterna contemporanea dialogante con la centrale termoelettrica, quello che acquista maggior significato è l’inserimento del Teatro stesso nel flusso dinamico urbano e, in una lettura ancor più spinta, del boccascena del teatro stesso entro questo flusso.

Il Teatro infatti, pur con una massa volumetrica chiaramente definita, tendente al Minimalismo, ha come elemento centrale della sua architettura ciò che avviene sul suo palco. E a questo “evento” il pubblico può accedere attraverso una sequenza classica del teatro all’italiana: foyer, platea, boccascena, scena, torre scenica. suo non avere quasi barriere ad impedirne l’accesso. Una serie di frames-momenti che vanno dal parcheggio dell’automobile, l’ingresso al foyer, la sosta al guardaroba, l’eventuale caffè, la seduta al proprio posto e l’attesa, carica di pathos, dell’attimo in cui si apre il sipario. Elementi che nel Teatro di Montalto di Castro diventano parti di vita urbana in quanto non vi è soluzione di continuità tra il parcheggio e il sipario. Tutta questa sequenza viene infatti “risucchiata”, come in un’opera di Kapoor, entro lo sala/scavo effettuato nel blocco di cemento.

Una ferita che sembra assorbire questa energia cinetica, per focalizzarla nel punto esatto in cui si apre il sipario. Così da mettere al centro della dinamica urbana, non tanto l’architettura dell’edificio stesso, i suoi materiali, le variazioni delle textures, la sua massa e il suo spazio, quanto la potenza della quarta parete, l’immaginario muro posto tra lo spettatore e l’atto di creazione che è alla base delle immense praterie che la magia del teatro e la sua interpretazione dischiude davanti agli occhi.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 81. Te lo sei perso? Abbonati!

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