18 ottobre 2018

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La dignità dell’opera d’arte, secondo Ágnes Heller
di Ernesto Jannini

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C’è una parola che in questo periodo sta circolando quotidianamente nel dibattito pubblico. Ci riferiamo al sostantivo ‘dignità’. Con altrettanta ripetitività tale termine ricorre nell’agone politico, dove i rappresentanti del popolo fanno a gara nel riempirsi la bocca con questo lemma, trasformato, ahimè, in un imbarazzante intercalare. Gli eventi drammatici nazionali di questi ultimi giorni relativi alle infrastrutture del nostro paese, la questione epocale degli immigrati e i focolai di guerra sparsi nel mondo, non sollevano soltanto problemi di natura logistica, di economia, di coordinamento delle politiche europee; sollevano la questione del valore della vita umana in un momento in cui la globalizzazione sta mostrando i suoi lati perversi, quelle False libertà (Meltemi 2017), messe così ben in luce dall’antropologo Stefano De Matteis nel suo ultimo importante libro, che segnaliamo caldamente al lettore interessato, in cui sostiene che “le libertà si possono dire ‘false’ quando servono solo a nascondere e giustificare la mancanza di regole e modelli in un mondo che ha perso la solitudine e a cui manca la collettività.” E dunque il non rispetto della propria e altrui dignità umana si manifesta non soltanto quando si abbandona alla deriva dei profughi in cerca di aiuto, ma anche, e soprattutto, quando l’arrivismo individuale o la brama del potere, di chi è preposto a compiti sociali, comporta il sacrificio di vite umane, la diffusione della corruzione e quanto altro. Al di fuori di ogni retorica di circostanza, potremmo dire che sta soltanto all’uomo incarnare kantianamente la legge morale; sta al singolo, in rapporto alla comunità, sentire di essere portatore di una universalità che eleva la persona al piano della dignità. C’è chi in questi giorni, come Brunello Cucinelli, imprenditore umbro del cachemire, ha edificato a Solomeo, addirittura un monumento, un ‘Tributo alla dignità dell’uomo’.
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Ágnes Heller, La dignità dell’opera d’arte (Castelvecchi, 2017)
Sul versante che ci sta a cuore è lecito pure chiedersi che relazione intercorre tra dignità e arte?
Secondo Adorno, anche ‘le opere d’arte sono persone’, hanno una loro dignità; ed è quanto riporta Ágnes Heller nel suo breve, ma stimolante saggio La dignità dell’opera d’arte (Castelvecchi,2017). Per la filosofa ungherese il concetto di autonomia dell’arte, fortemente sostenuto da Adorno nella sua Aesthetische Theorie (Autonomes Reich) non è sufficiente per “dare un contributo significativo alla comprensione delle opere d’arte contemporanea, come invece può fare il concetto di dignità dell’opera d’arte.” All’interno del concetto di autonomia è radicata la tendenza normativa all’universalizzazione, norme e regole che presentano il rischio di edificare una teoria ‘prescrittiva’. “Il minimalismo, ad esempio – puntualizza Heller – ha dato buoni risultati in pittura e in misura minore anche in musica. Ma la produzione letteraria minimalista è stata insufficiente e poco convincente. Eppure alcuni scrittori hanno provato a seguire la “moda”, proprio perché si riteneva fosse la moda dell’Arte”.
Ma oggi, in cui il regno dell’Arte non è più dotato di norme comuni, – argomenta Heller – come è possibile attribuire lo statuto di arte ad un’opera? Inoltre, è risaputo, che circolano opere d’arte belle e brutte, ‘proprio come esistono buone costituzioni e cattive costituzioni. Esistono opere d’arte innovative e opere d’arte che non lo sono, proprio come ci sono ipotesi e scoperte scientifiche innovative e quelle che non lo sono.’ Ma le opere hanno, in tutti i casi, una loro individualità. Quando contempliamo un monile azteco in una bacheca o un quadro di Rembrant, -naturalmente nelle migliori condizioni di osservazione e ascolto-, sentiamo che l’opera, nel suo mutismo, è dotata di spirito, ha un’anima, come affermava Walter Benjamin in Angelus novus. In questo senso sono ‘persone’; la dignità umana, come è noto, sta – secondo Kant – nel trattare gli uomini non come semplici mezzi, ma come fini. Joseph Beuys – si potrebbe aggiungere – affermava che l’arte = uomo = creatività = scienza, e applicava all’uomo il più alto concetto per realizzare, come fine, uno sviluppo globale dell’umana persona. 
“Quando Adorno – continua Heller –distingue dalle opere d’arte l’intrattenimento e la pornografia applica un criterio simile. Di conseguenza se ne deduce che ‘la dignità dell’uomo è legata, in qualche modo, alla dignità dell’opera d’arte. C’è dunque da domandarsi se le opere esistano ancora, perché dove non c’è dignità umana non c’è opera d’arte, almeno secondo la concezione moderna di arte, come la conosciamo dagli albori della cultura europea”. La questione, però, rimane completamente aperta. Pertanto, la filosofa ungherese si sposta, in maniera molto coerente, sul versante delle contro-argomentazioni che esprimono dubbi sul concetto di dignità dell’opera d’arte. Heller analizza due tipi di critica culturale che tengono conto del peso della mercificazione delle opere e della riproduzione meccanica con riferimento obbligatorio alle tesi di Benjamin. Inoltre si addentra maggiormente nel contemporaneo citando dichiarazioni e opere di Paul McCarthy, Mike Kelley, Tony Oursler, Gary Hume, Jeff Wall, Andreas Gursky, Cindy Sherman.
In definitiva, la Heller sostiene che ‘la categoria kantiana, quella di dignità, potrebbe aiutare a orientarsi meglio nel mondo delle arti, a condizione di farne un uso descrittivo e non normativo.’ 
Ernesto Jannini
Ágnes Heller, 
La dignità dell’opera d’arte
Castelvecchi. Irruzioni, 2017
Euro 5.00
ISBN 9788832821154

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