27 febbraio 2018

Un museo che si chiama desiderio

 
Villa Croce inaugura la prima mostra del 2018. Ma la quiete dopo la tempesta pare ancora lontana. In una Genova che tra vita e morte non smette di sperare nei miracoli

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Sarà l’inverno, sarà colpa del freddo e dell’influenza implacabile. Fatto sta che in questo 2018 Villa Croce si è risvegliata più acciaccata di prima. Che, a dire il vero, tutta questa salute non l’ha mai avuta, ed è sempre stato un gioco a tirare una coperta sempre troppo corta. Lo sa bene Ilaria Bonacossa, maestra nell’ardua impresa di far navigare un transatlantico a remi. 
Come l’anno in corso per il museo genovese sia partito maluccio è ormai sotto gli occhi di tutti, tra chiusure forzate, riaperture al fulmicotone e forfait all’ultima dichiarazione, con la società di gestione Open Your Art decisa nell’abbandonare la nave. Ma forse è la volta buona. Forse. 
Si riparte anche se il peggio sembra ancora non essere passato, anche se l’aria che tira è quella del “viviamo alla giornata”, col comune intento a promettere una nuova governance che almeno per ora è una fantastica chimera. Ma si parte, con entusiasmo, che non cambierà le sorti dettate dalla classe politica e dalle sue scelte, ma fa tanto, anzi tantissimo, perché dimostra che lì a Villa Croce c’è voglia di fare, ci sono idee e progetti validi da realizzare. E c’è voglia di premere il tasto play dell’era Antonelli con la mostra “Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità” (fino al primo maggio), a cura dello stesso Carlo Antonelli ed Anna Daneri, allestita a tempo di record causa bailamme interno. C’è voglia di vedere come sta il nuovo grande capo, nemmeno troppo scalfito dagli eventi, quasi un santone nel dire «Un momento di turbolenza è normale. Basta che termini». Sotto i baffi gasato dal recente incontro con Cristiano Raimondi, curatore del Nouveau Musée National di Monaco e desideroso di entrare attivamente – ovvero anche con abbondante pecunia in tasca – nel progetto estivo Riviera!, Antonelli si carica a man mano che la conferenza di presentazione entra nel vivo. Tornando l’arcinoto mattatore con una puntualizzazione nel suo stile: le date di equinozi e zodiaco scandiranno il programma espositivo. «In parte è una cosa vezzosa» dice, «In parte il legame con i segni zodiacali è recupero di una tradizione dell’Estate Romana di Nicolini». Dato sfogo ai propri istinti cabalistici si dedica premuroso alla prima filiazione espositiva, che segna la «Tipologia del modo in cui intendiamo lavorare», quindi con un approccio combinato «Umanistico e scientifico». 
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Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità – installation view – courtesy l’artista – photo Anna Positano

Premessa è che a Genova quarta e quinta età possiedono una folta rappresentanza, sicché Antonelli si è testualmente chiesto «Cosa fa e qual è l’espressione poetica di chi sta tra gli ottanta ed i cento anni». Una città dove gli over sessantacinque pullulano, nonché – rispetto ad altre realtà italiane, soprattutto del nord – indietro sotto più aspetti. L’inizio della fine? Tutt’altro, la vecchiaia ci salverà. Il super curatore trasforma in successo un’ipotetica debacle, citando Valter Longo, eminente studioso sul tema senilità e tra i contributors della mostra: «Genova è l’America del 2030, l’Europa del 2050, il mondo del 2100». Colpo di scena, niente è più come sembra, «Genova è all’avanguardia dei fenomeni sociali», olé. In questo contesto di conferenza virgolettiamo la parola/concetto “avanguardia”, perché Antonelli rivuole la città pre-anni Ottanta, quella in cui – foto di repertorio comprovano – Laurie Anderson faceva performance in strada coi pattini da ghiaccio e Daniel Buren riempiva di colore Galleria Mazzini, mettendoci pure il ritorno della rivista Marcatré. «Genova era questo» dice con una giusta punta di malinconia. Se ci aggiungete il rifacimento del giardino della Villa e le “varie ed eventuali” – nelle quali è inclusa l’istituzione di un’originale agenzia di viaggi “Villa Croce” – tutto sembra un po’ ardimentoso, in particolar modo visti i chiari di luna. 
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Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità – installation view – courtesy l’artista – photo Anna Positano

Ma ci piace, e molto. Come piace la determinazione con cui il duo Antonelli-Daneri ha apposto la propria impronta nella hall of fame del museo, il loro complicarsi la vita presentando come primo atto una mostra “strana” nel suo diversificarsi tra arte contemporanea e trattazione sociologica, ricchissima di contenuti al passo coi tempi, con la città e con l’Italia tutta. Scelta che forse, proprio per i suddetti motivi, potrebbe rivelarsi una scelta vincente. Certo, chi non risica non rosica, e quando Antonelli parla di «Estensione della Villa dentro la città» è un processo che parte da progetti di questo tipo e solo dopo arriva ad interventi come il remake di Buren in Galleria Mazzini, su cui ancora Antonelli racconta «Lui è d’accordo, dobbiamo cercare i fondi, che non sarebbero nemmeno poi tanti. Sicuramente coinvolgeremo i commercianti». Buona fortuna.
Tornando a Genova-città del geriatric power, Antonelli aggiunge «La prevalenza di anziani osservata meglio, e con occhio diverso, si rivela la possibilità di rilancio economico della città», soprattutto “Nell’alleanza tra ventenni ed ottantenni”. E lascia trapelare dalle proprie labbra quello che è senza dubbio il mantra di questa mostra: «Il grigio si trasforma in argento». Antonelli, alias Massimo Decimo Meridio, grida “al mio segnale scatenate l’argento”; ed immediatamente quello brilla in una riedizione del “cacao meravigliao” di arboriana memoria, il fantomatico sponsor “Silverland”, agenzia immobiliare per pubblico agée con tanto di jingle su idea del trentenne Marco Bruzzone, artista che in coppia con la coetanea Nuvola Ravera abbassa l’età media dei partecipanti all’evento. Argento che brilla per tutta la parete dello scalone, includendo una sfilza di recipienti per urine (il binomio anziano-analisi è un caposaldo del vivere comune) contenenti lettori mp3 con cuffie, che irradiano interviste – curate da Antonelli assieme alla giornalista Paola Mordiglia – in cui gli anziani parlano di svariati argomenti, sessualità compresa. 
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Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità – installation view – courtesy l’artista – photo Anna Positano

Perché, cari nostri, non dimenticatevi che “Il viagra è una grandissima invenzione”, come recita uno dei tanti pannelli a led – neanche a farlo apposta «da farmacia» precisa Antonelli – sparsi per il percorso, tipo quelli che informano sulle supposte in offerta, piuttosto che dello sciroppo a metà prezzo. 
Pace dei sensi questa sconosciuta, anche ad una certa età se si parla di sesso non si è alieni, e ce lo ricorda Rodolfo Vitone col suo giardino-istallazione di rose dipinte su tessuti ricamati con motivo a rose. Un pezzo datato 1985 ridipinto da Vitone senior per l’occasione e che registra «L’attenzione al piacere di Vitone» chiosa Anna Daneri; uno spazio sessualmente allegorico, dolcemente alla De André della “graziosa” che in via Del Campo “vendeva a tutti la stessa rosa”, sconfinante nel sessualmente esplicito dell’ampia tela in cui l’intervento grafico-verbale dell’artista – tra profusione di tette e culi – non lascia più spazio a doppi sensi.
Solo sensi unici, come per Corrado Levi, che nel suo intervento – di «Topografia sentimentale» su definizione dalla Daneri – ha ingigantito ad hoc una vecchia mappatura dell’area spezzina, datata 8/3/1982, puntellata qua e là con ricordi molto personali: “I peli di Francesco ad Ortonovo”, “La patta di Cirillo a Vezzano”, “Lo sperma di Esposito a La Spezia”. Liberamente ci ha messo insieme un’opera pittorica d’ultima produzione e poi ha deciso di giocare per contrasto, di spersonalizzarsi nella foto grandezza naturale che lo ritrae mentre indossa vestiti di migranti ritrovati sulla spiaggia di Otranto; non è appesa ma posata in orizzontale, intrecciando senza ghirigori il tema della vita, come senso di appartenenza ad un territorio, a quello della morte, per vecchiaia o abbandono forzato della propria terra.
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Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità – installation view – courtesy l’artista – photo Anna Positano

Vita, morte e tempo che passa, per l’ultima generazione che può ancora decifrare la Genova impressa in cima alle scale, con una Loggia della Mercanzia martoriata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tra chi ha smesso di praticare arte come Lisetta Carmi, e chi, col nome di Franco Mazzucchelli, a quasi ottant’anni si prodiga nel ricreare apposta per Villa Croce un ambiente gonfiabile e morbido in una sala rigida, costringendo a camminare su del PVC che rende ogni passo un po’ più instabile. Da anziano. Su Mazzucchelli il curatore tiene ad appuntare che «Esporrà a Berlino ed avrà una mostra al museo del Novecento di Milano, la prima in un’istituzione pubblica». Quindi, ad ulteriore riprova della contemporaneità ancora “croccante” dei suoi “vecchi”, aggiunge «Elisa Montessori ha fatto una personale a Roma, da Monitor»; qui la si apprezza particolarmente per un informale maturo nella sua polivalenza grafica, cromatica e materica. Altra genovese ancora in piena attività è Renata Boero, con il suo ambiente in cui passa dalla trattazione analitica delle Cromografie ad un informale prettamente materico ottenuto sotterrando le tele, creando «vita dalla morte l’opera a partire dalla sua decomposizione» come dice Anna Daneri, coprendo un arco temporale dagli anni Sessanta ad oggi. Completano l’insieme le tele piegate abbandonate in un angolo, quella grossa ed arrotolata con ancora attaccati i pezzi dell’intonaco su cui era affissa, legni vari ed il pigmento ocra sparso su tutto il pavimento. Splendida splendente con i suoi ottantadue anni ed una vitalità artistica da fare invidia. La quota performativa è invece affidata ad Anna Oberto, anche se la versione statico-documentaria della sua azione di rottura (di un muro di fili rossi, perfettamente ricreato) è forse l’anello più debole della mostra. Ma è un classico do ut des, musealizzare un’azione performativa – soprattutto se datata – comporta la caduta nel potenzialmente didascalico.
Vi lasciamo quindi con una bella frase fatta, che piacerà a più di qualche critico-curatore nostrano: questi sei vetero-artisti si dimostrano più avanti e svegli di certe giovani leve del contemporaneo. Fatta, ma realistica, fatevene una ragione. A Villa Croce intanto auguriamo di uscire indenne dal limbo in cui è finita, se lo merita.
Andrea Rossetti 

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