26 dicembre 2017

Scrivere lo spazio

 
Quando i muri di una stanza diventano spartiti visuali, variabili nel tempo: ecco Sol LeWitt a Milano. Una imperdibile mostra con lo zampino di Rem Koolhaas

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Tra la musica, la matematica e l’opera di Solomon, detto Sol LeWitt (Hartford 1928 – New York 2007) esiste un’analogia, in quanto i lavori dell’artista, autore nel 1967 di “Paragraphs on Conceptual Art” pubblicato sulla rivista Artforum, testo basilare per comprendere l’arte concettuale con “Sentences on Conceptual Art” (1969), sono progettati come partiture visuali, in cui il luogo diventa lo spartito per Structures: forme bidimensionali e tridimensionali inserite nello spazio che sottendono idee o concetti inclusi in un materiale. Ha scritto LeWitt “Anche un cieco può fare arte”, perché può disegnare, tracciare il lavoro, mentre la realizzazione non è altro che un procedimento di visualizzazione dell’idea e i media usati non devono prevaricarla. Le sue entità strutturali e volumetriche risolte in combinazioni o sequenze di forme minime, geometriche, sono autoreferenziali, sottendono un “apriori” compositivo umano e non tecnico. Queste opere sembrano corrispondere a un sistema musicale di uno spartito ideale, basato su combinazioni modulari e sulla progressione di segni elementari, quali il cubo o sequenze centrate sulla forma quadrata che espandendosi nello spazio progressivamente, diviene segno, volume, struttura aperta o chiusa, il cui il senso risiede nella sequenza e in un certo grado misurato di casualità, determinato dalla soggettività dell’esecutore. 
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Sol LeWitt, vista della mostra, courtesy Fondazione Carriero, foto di Agostino Osio

Per LeWitt l’artista è un generatore di idee, più simile a un architetto che progetta un edificio e poi delega la costruzione ad altri, e la regola sta nella relazione tra l’idea e la sua logica visuale. Disporre, combinare, modulare secondo uno sviluppo moltiplicatorio, secondo una sequenza lineare o una sequenza centrifuga forme geometriche, valorizzando il primato dell’idea sull’esecuzione. Ogni materializzazione di qualsiasi struttura è arbitraria e l’artista non può che essere un esecutore di idee e non un interprete o trasformatore delle stesse, perché le idee hanno vita propria. Dal primo Wall drawing#1 (del 1968), eseguito nella galleria di Paula Cooper a New York, in cui un sistema di linee parallele disegnate con matita nera su parete bianca in quattro sezioni (verticale, orizzontale, diagonale a sinistra e a destra) prendono forma, è la cifra distintiva di LeWitt adottata per rafforzare il concetto di bidimensionalità dell’opera e la priorità del processo rispetto al prodotto finale. In un articolo del 1969 per Studio International LeWitt scrisse: “Le opere bidimensionali non vengono considerate come oggetti. L’opera è una manifestazione di una idea. Un’idea, non oggetto”: i wall drawing, così, esistono come un insieme di istruzioni e possono essere rifatti infinite volte.
La Fondazione Carriero a Milano con la mostra “Between The Lines”, a cura di Francesco Stocchi e Rem Koolhas (per la prima volta nel ruolo di curatore di mostra d’arte contemporanea), organizzata in collaborazione con l’Estate of Sol LeWitt, ripercorre le tappe di un progettista seriale, attraverso sette wall drawing, 16 sculture e le fotografie del guru del minimalismo cresciuto a New York negli anni Cinquanta, assunto come grafico nello studio di Ieoh Ming Pei, architetto cinese naturalizzato statunitense, autore della Piramide del Louvre. LeWitt sperimenta la sua attitudine geometrica-costruttiva e a dieci anni della sua morte tutto è ancora attualissimo, con opere che si rinnovano costantemente.
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Sol LeWitt, vista della mostra, courtesy Fondazione Carriero, foto di Agostino Osio

Lo si capisce entrando nell’ex Casa Parravicini, dove c’è la sede della Fondazione Carriero (via Cino del Duca, 4) tra i pochi edifici privati di Milano risalenti al ‘400, opera d’arte di per sé che mantiene un’aurea speciale legata alla sua identità storica. 
La Fondazione, così, da terra al secondo piano diventa il living space ideale in cui presentare un nutrito corpus di opere della ricerca artistica di LeWitt, dai celebri Wall Drawings a 15 sculture Form e Inverted Spiraling Tower e altri lavori, corrispondenti a un processo d’indagine, in cui sono gli schemi di assi cartesiani e anche linee curve a intrecciare (adottate dall’artista dagli anni’90 del secolo scorso), un dialogo tra il progetto e la sua visualizzazione con l’architettura. LeWitt è l’artista concettuale più amato dagli architetti e designer, anche quando sulle pareti ha sostituito le rigide forme geometriche con linee più sinuose disegnate con colori acrilici, perché concepisce il progetto come una forma d’arte in cui grafici, superfici, piante, traiettorie intrecciano arte e architettura. Lo si capisce dal pian terreno, dove si trova il manifesto dell’artista: Wall Drawing #263 eseguito per il Museum of Modern Art di New York nel 1975. Qui si sviluppano linee semplici in quattro direzioni (orizzontale, verticale, diagonale a destra e diagonale a sinistra) in tutte le loro possibili combinazioni. Occhio al diagramma riassuntivo dell’opera nell’ultima sezione in basso a destra. 
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Sol LeWitt, Wall Drawing #150, courtesy Fondazione Carriero, foto di Agostino Osio

Nella seconda sala svela un aspetto più intimo di LeWitt Autobiography (1980), pubblicazione diventata tra i più celebri libri d’artista, che descrive lo spazio di lavoro di LeWitt, composto da una riproduzione di una selezione di immagini delle pagine del volume in due diversi formati, trasformate in membrana dell’architettura, che mostrano mobili, utensili, libri, dischi, cibo, stoviglie; cose che raccontano l’artista, assente. Ciascuna delle nove fotografie di ogni pagina è disposta in formato a griglia, lo stesso metodo di organizzazione delle informazioni di LeWitt. Nella terza sala fanno capolino gli Scribbles, una serie di wall drawing eseguiti a partire dal 2007, in apparente contraddizione con la logica dell’autore manifestata attraverso geometrie pure, a testimonianza di un’altra logica aleatoria, quasi sensuale. Wall Drawing #1267: Scribbles è stato installato la prima volta presso la Fondazione Morra Greco a Napoli nel 2010, alla Fondazione Carriero sorprende una parete curva che sembra fagocitare ambiente e visitatori. Anche Wall Drawing#123° (realizzato per la prima volta nel 1991) si rivela in tutta la sua originalità progettuale. Attenzione al Wall Drawing#46, lungo la scala che collega i piani della Fondazione Carriero (realizzato nel 1970 per la prima volta a Parigi da LeWitt) perché da questo momento Koolhaas ha puntato sulla messa in valore della diversità che si nasconde dietro il lavoro di LeWitt. E, tra i disegni dei wall drawing (quasi affreschi monocromi contemporanei), le barre di alluminio di Open (lo scheletro del cubo) e altre opere esposte, “Between the Lines” svela il suo obiettivo: riflettere sul fatto che sia l’opera a doversi adattare all’architettura, sovvertendo il concetto di site specific. Giunti al primo piano cominciate a porvi il problema del rapporto tra scultura e piedistallo, una riflessione che LeWitt ha condiviso con Carl Andre, Donald Judd e altri protagonisti del minimalismo americano. 
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Sol LeWitt, Wall Drawing #263, courtesy Fondazione Carriero, foto di Agostino Osio

Nella sesta sala tre opere rare degli anni sessanta incantevoli (Floor Structure (Well), Unititled (B3Model), Early Wood Structure) sono allestite secondo una sequenza prospettica diagonale perfetta. Vi stupirete nel trovare accanto alle classiche Structure e Untitled in legno bianco o nero, anche un’altra scultura giallo limone energizzante. Nella settima sala, superate le tensioni tra le due e le tre dimensioni, in cui i muri della stanza diventano volume, da vedere più che da raccontare, troverete le colonne dello spazio prolungate per dividere la parte a sinistra della sala in quattro nicchie dalla dimensioni insolite come le opere (Structure with Standing Figure, 1963: Geometric Figure#9 ,1977, Complex Form#34, 1990; Correr Piece 1 2 3 4 5 6, 1979, Geometric Figure#10(/), 1977) qui presentate in una logica di isolamento, in stretto dialogo con lo spazio, si capisce che la parte può essere intesa anche come spazio assoluto, uno spartito o pagina di un libro. 
Al secondo piano si conclude il viaggio dentro a diverse attitudini spaziali, come materia progettuale, e si trova Mirror Drowing: un’elaborazione di Wall Drawing#1104 (2003), eseguito per la prima volta sui vetri di una finestra dell’Edams Museum, a Edam in Olanda, è una delle poche opere su vetro di LeWitt, riadattata da Koolhaas in uno spazio barocco con superfici specchianti in cui non casualmente si sovvertono e si trasgrediscono le regole.
Jacqueline Ceresoli

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