02 ottobre 2017

Spaziale Lucio Fontana!

 
Pioniere del superamento tra scultura, pittura e architettura, fisico e immaginario, all'Hangar Bicocca vanno in scena i ritrovati e modernissimi “Ambienti” del Maestro italiano

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Lucio Fontana (1899, Rosario, Argentina-1968, Varese), padre degli ambienti immersivi dopo la mostra del celebre Ambiente Spaziale a luce nera (di Wood) nella Galleria del Naviglio in via Manzoni (5 febbraio 1949), scrive in una lettera al suo allievo Paolo Edelstein in Argentina: “Non ho mai avuto tanta soddisfazione nella mia vita di artista di aver organizzato questa mostra, non posso dire di un successo, però credo decisamente di aver fatto qualcosa di molto importante, in ogni modo i quotidiani e la critica ne parlano molto, in bene e in male, l’Ambiente Spaziale ha interessato molto i giovani universitari. Questa non è stata una mostra di opere, io ho fatto in un ambiente in penombra un elemento unico luminoso di forma astratta e suggestiva, in questo modo la polemica spaziale entra nel vivo della sua attuazione, qui siamo già in molti e tra questi buoni artisti e scrittori” (12 marzo 1949). 
A Milano nel travaglio del dopoguerra, nel decennio successivo al soggiorno argentino, Lucio Fontana trova, nella città natale del movimento futurista, terreno fertile per la sua ricerca artistica incentrata sulla concretizzazione del suo “concetto spaziale”, teorizzato nel Manifesto Blanco (1946), in Argentina e l’anno dopo nel Primo Manifesto dello Spazialismo, sostenuto da giovani artisti, tra gli altri Gianni Dova, Crippa, Joppolo, Peverilli, il gallerista Cardazzo e gli architetti, fra cui BBPR, Figini e Pollini, Zanuso e Baldessari, i primi a intuire il potenziale innovativo dei suoi ambienti. 
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Lucio Fontana Ambienti/Environments, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana.
Fontana, interessato alle risorse scientifiche e tecnologiche, incomincia a immaginare uno spazio cosmico, consapevole del fatto che gli artisti anticipano gesti scientifici, e con il movimento spaziale include la necessità di evoluzione e la sperimentazione di nuovi mezzi come la luce nera, il neon, la televisione, la vernice fluorescente, la gomma, le carte metalliche, il radar e tutti i materiali indicatori dell’intelligenza umana. Seguiranno altri manifesti dello Spazialismo che ha avuto il merito di mettere in relazione la scienza con l’arte, in cui i materiali luminosi plasmano ambienti che trasudano di energia cosmica. Nell’ambito delle prime avanguardie storiche si ricorda le intuizioni sull’urgenza di un’arte che supera i limiti tradizionali della pittura e della scultura in relazione allo spazio circostante di Umberto Boccioni (nel Manifesto tecnico della scultura futurista), gli ambienti costruttivisti di El Lisickij, e il Merzbau del dadaista Kurt Schwitters, all’interno della sua abitazione di Hannover: un’accumulazione di oggetti ed elementi di scarto nel 1924-32. Però, il primo a teorizzare e dare forma a un’ arte ambientale futuribile è l’astronauta dell’arte, sbarcato su una luna immaginaria vent’anni prima dell’Apollo 11, con ambienti in cui fisica e spazio incominciano a simulare cosmogonie cosmiche. 
Al Pirelli Hangar Bicocca è stata inaugurata la mostra dedicata al maestro della luce argentino formatosi all’Accademia di Brera, allievo di Adolfo Wilt, con 11 opere, di cui 9 ambienti e due strutture ambientali, progettati tra il 1949 e il 1968, ricostruite per la prima volta dalla ditta Clod, dopo quattro anni di ricerche condotte dalle curatrici Marina Pugliese (direttrice fino al 2015 del Museo del Novecento, della Gam e del Mudec) e Barbara Ferrarini (esperta nel restauro delle opere di Fontana) e Vincente Todoli, direttore artistico di Pirelli Hangar Bicocca in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana. L’immersione dentro paesaggi luminosi incomincia all’ingresso dello spazio delle Navate dell’Hangar, con un cielo blu Klein, da cui pende un “ghirigoro” sinuoso fluorescente: è la Struttura al neon, ideata per lo scalone della IX Triennale di Milano nel 1951, riprodotta nelle sue originali proporzioni – 100 metri di lunghezza – maestosa opera di cui si trova una versione nel museo del Novecento, visibile da piazza Duomo attraverso le grandi vetrate. L’opera in cui per la prima volta la luce è utilizzata come “segno” dello spazio, che apre la strada alla Light art. 
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Lucio Fontana Ambienti/Environments, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana.
Il percorso espositivo prosegue con l’Ambiente Spaziale del 1949, in cui Fontana ha usato la luce nera (wood) per valorizzare una forma plastica di eco informale-surrealista flottante nello spazio. Fontana ha toccato la Luna, è il titolo dell’articolo di Raffaele Carrieti, nel febbraio del 1949, sulle pagine del “Tempo”, in una recensione dedicata alla mostra copernicana della Galleria del Naviglio, allora culla dell’avanguardia. Nell’articolo si legge: “Una specie di grotta cabalistica avvolta da panneggi neri. È la prima o l’ultima notte del nostro pianeta? In un cielo spettrale, tra danze di larve, una grande forma spettacolare e incompiuta. Un dinosauro calcificato? La spina dorsale di un mammuth? Non voglio fare delle immagini. L’ambiente spaziale creato da Fontana in via Manzoni a Milano ci ha avvicinato alla luna assai più e meglio di qualsiasi cannocchiale”. 
Dagli anni cinquanta Fontana con l’impiego del neon compie un salto qualitativo e con gli ambienti incomincia a relazionarsi con l’architettura, anticipando l’impiego di strutture luminose ambientali sperimentate tra gli anni’ 60/70 da artisti americani Samars, Flavin, Antonako, Nauman e il movimento Light and Space. 
Gli ambienti spaziali, stanze e corridoi, denominati Utopie, affascinanti in quanto effimeri, ricostruiti in mostra, sono stati tutti distrutti tranne uno, attualmente alla Biennale di Lione, comprese le due grandi strutture realizzate su commissione: l’Arabesco al neon per lo scalone della Triennale nel 1951, e l’opera monumentale che conclude l’immersione nella luce, ospitata nel Cubo dell’Hangar costituita da sette livelli di tubi di luce colorata al neon Fonti di Energia, soffitto di neon per “Italia 61”, a Torino. 
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Lucio Fontana Ambienti/Environments, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana.
Queste strutture, chiamate stanze, incorniciano lo spazio e corrispondono a una vocazione architettonica, concepite come immagini adatte per riviste specializzate come “Domus”, diretta da Giò Ponti, e documentano filologicamente la nuova estetica spazialista, il passaggio dalla terza dimensione con i “buchi” (1949) e i “tagli” (1958) con opere su tela, alla quarta dimensione, con gli ambienti creati per superare la barriera tra pittura, scultura, architettura e design all’insegna environments, in cui i concetti di materia, spazio, luce, vuoto estendono i confini dell’arte. 
Tornando alla mostra, sono una scoperta illuminante le Utopie, realizzate nella XIII Triennale di Milano, 1964, in collaborazione con l’architetto e artista Nanda Vigo, in cui sorprende l’impiego di diversi materiali e si valorizza il coinvolgimento dello spettatore con soluzioni spiazzanti,da provare più che raccontare, che alterano la percezione dello spazio, una tendenza ottico-cinetica dell’epoca investigata dal Gruppo T e GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuelle), basate sullo studio delle teorie della Gestald (studi psicologici relativi ai temi della percezione). Stupisce, l’Ambiente spaziale con neon, 1967, rivestito di un tessuto rosa ciclamino e illuminato da un unico neon rosso dall’andamento sinuoso sospeso al soffitto, progettato per lo Stedelijk Museum di Amsterdam. Inquieta Ambiente spaziale a luce rossa (1967), simile a un labirinto, con due neon rossi che perimetrano lo spazio. La mostra in linea con le evoluzioni di investigazioni intorno a opportunità plastico spaziali raggiunge il culmine con Ambiente spaziale, realizzato per Documenta 4, a Kassel (1968), a cura di Arnold Bode, occasione in cui dopo l’Ambiente spaziale presentato alla Biennale di Venezia, nel 1966, concepito come uno spazio ovale totalmente bianco con cinque tele bianche connotate da un taglio verticale, realizzato con l’architetto Carlo Scarpa, per Kassel, Fontana propone uno spazio labirintico ancora total white, che conduce a un grande taglio sul muro: gesto, unico emblematico segno di superamento tra scultura e architettura, spazio fisico e immaginario. 

Jacqueline Ceresoli

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