11 maggio 2016

La lavagna

 
Roma, giocare a carte scoperte
di Raffaele Gavarro
Elezioni alle porte. Il nodo cultura e politica. Ecco un po’ di richieste in controtendenza

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Com’era facile prevedere con l’avvicinarsi delle prossime elezioni amministrative hanno cominciato a formarsi i soliti e temibili think tank culturali con tanto di esperti di comunicazione, consulenti d’immagine, spin doctor ed economisti della cultura – tra l’altro, e forse non sarà proprio un caso, mai che nel mazzo ce ne fosse uno vero d’intellettuale –, carichi di strategie vincenti da mettere a disposizione dei vari candidati, tutti naturalmente pronti a spergiurare che la cultura, proprio lei, è la nostra risorsa più importante e che loro, proprio loro, su di essa costruiranno il futuro della città. 
Se pensiamo a Roma, molti non mancheranno di ricordare che naturalmente anche Ignazio Marino a suo tempo non disse niente di meno, salvo poi regalarci uno dei periodi peggiori per la cultura capitolina, con assessori che è meglio nemmeno nominare e che ci fecero rimpiangere i barbari alemanni poc’anzi cacciati oltre confine.
Così ci risiamo e leggo e mi dicono di luccicanti e adescanti strategie di politica culturale in cui non servono risorse – per carità – e che anzi non solo sarà tutto a costo zero, ma che addirittura sarà la cultura a darne di denaro da utilizzare persino per lo spazzamento delle strade. Non sto esagerando. E così ci risiamo con i censimenti degli immobili inutilizzati, con le immancabili ottimizzazioni dei servizi, con le accademie internazionali, patrimonio che solo Roma può vantare, con le periferie che naturalmente non si possono abbandonare e che solo la cultura potrà redimere, foss’anche grazie al fumettismo ipertrofizzato della Street Art rieducata dalla commissione pubblica. 
Non so a voi, ma a me sembra che tutto ciò porterà solo all’ennesimo ed inutile teatrino con risultati non molto diversi da quelli avuti sino ad oggi, e cioè poco o nulla.
Quindi pongo un quesito/questione: e se provassimo, almeno per questa volta, a ribaltare il metodo sin qui adottato? E cioè: se invece di chiedere agli esperti di turno idee e modi per realizzarle al famoso costo zero, non ci dite voi, egregi candidati sindaci, quante risorse, in termini percentuali nel bilancio comunale, metterete a disposizione della cultura e in particolare delle produzioni contemporanee. Proviamo, almeno per questa volta, che invece di farci leggere e, qualche volta, lavorare gratis e inutilmente per mesi a progettazioni che non vedranno mai luce, non ci dite voi la ragione per la quale considerate la cultura, e in particolare quella contemporanea, un asset importante della città e una leva decisiva della vostra futura azione politica. Perché non ci dite adesso chi sarà, ad esempio, in caso di una vostra vittoria, il vostro Assessore alla Cultura? Tanto per farci valutare in anticipo se potrà o meno essere la persona giusta per relazionarsi con le molteplici realtà culturali della città. Perché insomma non facciamo che, almeno per questa volta, il gioco si svolga a carte scoperte, in modo da capire davvero quali sono le idee (?) migliori realizzabili con le risorse (?) disponibili? 
Pino Pascali, Colosseo, 1964
Per restare a Roma, è lo stato ormai disperato in cui versa la cultura di questa città a pretenderlo. Una situazione che necessita d’investimenti, anche se di certo non a pioggia, piuttosto organizzati e direzionati sui diversi settori della produzione culturale contemporanea, e altrettanto di certo regolati da criteri di trasparenza e sottoposti ad appropriato monitoraggio. Perché nessun museo o teatro (et cetera)al mondo lavora grazie a idee a costo zero, e nessun museo o teatro (et cetera) al mondo è sostenuto unicamente dai privati, così come nessuno dei processi o delle esperienze culturali che si formano spontanei sul territorio, potranno avere uno sviluppo significativamente utilizzabile dalla comunità senza un minimo investimento di risorse pubbliche. Egregi candidati sindaci, sarà bene che la smettiate di farvi raccontare e soprattutto di ripetere banalità e non più innocenti bugie. 
Così pensavo e mi domandavo: chissà cosa accadrebbe se, almeno per questa volta, i nobili operatori culturali e gli altrettanti nobili intellettuali quiriti rifiutassero l’ambiguo invito a partecipare alla costruzione del programma culturale per la Roma del futuro?
Vuoi vedere che i candidati, almeno per questa volta, si troverebbero costretti a prendere impegni concreti, accompagnati da cifre e nomi?
Lo so, si tratta dell’ennesima ingenuità, ma tranquilli, anche questa è a costo zero.

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