29 marzo 2019

READING ROOM

 
“Stai all'erta caro lettore, sei chiamato a far di più”, specialmente dopo aver passato le pagine dell’ultimo testo di Kinkaleri
di Paola Granato

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All for All! è una pubblicazione di Kinkaleri uscita per la Bruno edizioni di Venezia a cura di Piersandra Di Matteo. 
Vuole lasciare una traccia di qualcosa che è accaduto ma, si sa, che una traccia che non vive non è una traccia. É noto che tirare le fila di qualcosa che avviene sulla scena e riportarlo su un qualunque supporto, perché venga archiviato, raccontato, passato, è un’operazione rischiosa e ambiziosa. Molta teoria ne è stata scritta in proposito, e, alla mia mente, parlando di prodotti editoriali, arrivano i Libri Quadrati della Ubu, che tanto teatro hanno raccontato, un teatro nel suo farsi. Penso a Io vivo nelle cose di Motus, Ada. Romanzo teatrale per enigmi in sette dimore e O/Z. Atlante di un viaggio teatrale di Fanny & Alexander e 2001 – 2008 la scena esausta degli stessi Kinkaleri. Tutte pubblicazioni che hanno attuato un ripensamento per parole e immagini dei progetti e le traiettorie presentate, unica via per rendere queste tracce parlanti e viventi.
All for All! è composto, oltre che dall’apparato fotografico, da quattro testi, una conversazione, un testo drammaturgico e un lavoro fotografico. L’intento del libro, come dichiara la curatrice Piersandra Di Matteo è quello di attraversare il progetto All! senza farne un monumento. 
Il lettore è chiamato in causa sin dalla copertina: una sagoma del poligono di tiro con in mano una pistola che punta dritto, immagine del progetto All! che torna più volte nel libro e sembra dire: stai all’erta caro lettore sei chiamato a far di più, come lo si è quando si è spettatori delle performance del collettivo toscano. Le immagini delle varie tappe del progetto non sono impaginate in ordine cronologico, ciò lascia libertà al lettore di giocare: aprire a caso, tornare indietro, immaginare connessioni possibili, magari, mai avvenute. Un procedere che è più emotivo che razionale, ma a volte più razionale che emotivo, queste parole che Loredana Farina, usa per definire la complessa realtà dei libri gioco per l’infanzia, riecheggiano nella mia testa nell’affrontare All for All! è un libro pieno di suoni: applausi, microfoni, spari, silenzi delle gallerie e frastuoni delle stazioni in cui Kinkaleri ha portato le sue performance. 
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All for All!, Kinkaleri
E, proprio come in alcuni riusciti libri gioco, il suono è suggerito e scaturito dall’intima relazione che il lettore innesca con l’oggetto libro, qualcosa che sembra estremamente silenzioso contiene più suono che mai. Non a caso proprio di libro gioco parla Cristina Ventrucci nell’introduzione a Ada, il libro quadrato citato in apertura, perché è solo con un ritorno a qualcosa di infantile, e quindi antecedente alla lettura (in quanto decodificazione di parole) che qualcosa di non raccontabile come ciò che avviene in scena può trovare un modo di essere trasmesso. Le immagini in bianco e nero grazie a un colore argento, bellissimo, va detto, cercano la tridimensionalità, di uscire fuori e farsi carne, di sfondare la pagina come si sfonda la quarta parete. Avere a che fare con un libro è come avere a che fare con un corpo, non si può eludere la sua matericità, bisogna sfogliarlo tenerlo in mano, annusarlo sentirlo respirare accanto a se. E in particolare questo All for All! È tutta una faccenda di corpi. Racconta un progetto che Kinkaleri ha portato avanti dal 2012 al 2016, a partire dalla figura di William Seward Borrougs (autore vicino alla Beat generation, conosciuto per il romanzo La scimmia sulla schiena) e che ha creato nel tempo percorsi verbali, fisici, visivi e sonori. Ma l’atto fondante di All!è stato quello di inventare un codice gestuale, il codice K, che trascrive il simbolo alfabetico sul corpo, travalicando la parola e l’idea stessa di coreografia. Codice che è arrivato ad avere un proprio font, il K-font, presente anche nel libro, realizzato nel 2014 con Giacomo Covacich e Bruno.
Se non esiste potere più forte del linguaggio cosa fare per poter assottigliare l’enorme divario tra chi detiene il potere della parola istituita e chi invece del linguaggio sente la delicata, instabile, insicura presenza? Si chiede Kinkaleri che trova in Borrougs un maestro e amico che insegna a costruire bombe vere e immaginarie. E questa pubblicazione è un ulteriore ordigno per sferrare un attacco frontale al linguaggio, agendo negli interstizi e cambiando le carte in tavola sotto le spoglie di un’apparente normalità. 
Sorprende l’organicità dell’opera nei testi che riflettono sul progetto ma, che in fondo, sembrano riflettere sul libro stesso, a sottolineare il suo essere agente attivo più che un racconto. La cura e l’amore con cui è stato affrontato questo raffinato lavoro editoriale, sono due caratteri da non sottovalutare e che si riflettono nei materiali usati, nella scelta degli autori dei testi, negli artisti che hanno donato le loro opere per trovare i fondi per realizzarlo e chi ha pre-ordinato le copie. Un libro che riflette anche una comunità e che fa sentire la mancanza di un certo tipo di editoria in modo particolare per quanto riguarda il teatro e le arti performative, in un momento in cui è un dovere essere radicali anche, e soprattutto, nel ripensare le modalità di narrazione, questa pubblicazione rappresenta qualcosa che manca. Non costruisce un monumento All for All! ma comunica un’urgenza e più che scatenare un desiderio di nostalgia o di esserci stato, fa venir voglia di prendere parte alla rivoluzione al più presto, sparando a salve, ma pur sempre sparando, come scrive Lucia Amara.
Paola Granato

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