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Alla fine, l’artista ha avuto la meglio sul musicista. Roger Waters ha «ripreso pedissequamente la forma espressiva personale di Emilio Isgrò» e il giudice civile Silvia Giani blocca la distribuzione, in Italia, di “Is this the life we really want?”, l’ultimo album dell’ex bassista e voce dei Pink Floyd, confermando la precedente sentenza del 16 giugno, quando lo stesso Isgrò intervenne in prima persona: «quello che si è verificato è un plagio palese delle mie opere». In effetti, la copertina e tutte le grafiche del disco, create da Sean Evans, Danny Kamhaji e Dan Ichimoto, sembrano essere qualcosa di più di un tributo all’artista siciliano, con quelle righe di testo cancellate, tra le quali spuntano giusto le parole del titolo. Difficile notare la differenza con Il Cristo Cancellatore, installazione di 38 volumi su leggii, esposta per la prima volta nel 1968, alla Galleria Apollinaire. Adesso c’è una sentenza di primo grado che conferma questa somiglianza fin troppo accentuata, in attesa, ovviamente, del ricorso in appello che sarà presentato da Sony. Sulla vicenda è intervenuto anche Vittorio Sgarbi, che non è affatto d’accordo con la sentenza: «Sarebbe un bellissimo omaggio che rende merito al lavoro di Isgrò, nulla di più, nulla di meno. Anche perché si tratterebbe di due categorie merceologiche diverse, non di un falso d’artista».
Contesto fortemente l’incipite dell’articolo: il musicista Roger Waters è egli stesso un artista e se l’artisticità si misura con la fama mondiale lo è molto di più di Isgrò. Riguardo all’ oggetto della contesa il concetto si rovescia: quello di Isgrò è un’opera d’arte (pur se molti potrebbero contestare lo status di “arte” ad una cancellatura) mentre quello di Waters è un contenitore (la copertina). L’opera d’arte sta dentro ed è la musica